L’Udienza Generale si è svolta nell’Aula Paolo VI dove Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la meditazione sul recente Viaggio Apostolico a Budapest e in Slovacchia (Lettura: At 13,46-49.52). Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Si è concluso con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
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Fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei parlarvi del Viaggio Apostolico che ho compiuto a Budapest e in Slovacchia, e che si è concluso proprio una settimana fa, mercoledì scorso. Lo riassumerei così: è stato un pellegrinaggio di preghiera, un pellegrinaggio alle radici, un pellegrinaggio di speranza. Preghiera, radici e speranza.
1. La prima tappa è stata a Budapest, per la Santa Messa conclusiva del Congresso Eucaristico Internazionale, rinviata di un anno esatto a causa della pandemia. Grande è stata la partecipazione a questa celebrazione. Il popolo santo di Dio, nel giorno del Signore, si è riunito davanti al mistero dell’Eucaristia, dal quale continuamente è generato e rigenerato. Era abbracciato dalla Croce che campeggiava sopra l’altare, a mostrare la stessa direzione indicata dall’Eucaristia, cioè la via dell’amore umile e disinteressato, dell’amore generoso e rispettoso verso tutti, della via della fede che purifica dalla mondanità e conduce all’essenzialità. Questa fede ci purifica sempre e ci allontana dalla mondanità che ci rovina tutti: è un tarlo che ci rovina da dentro.
E il pellegrinaggio di preghiera si è concluso in Slovacchia nella Festa di Maria Addolorata. Anche là, a Šaštín, presso il Santuario della Vergine dei Sette Dolori, un grande popolo di figli è accorso per la festa della Madre, che è anche la festa religiosa nazionale. Il mio è stato così un pellegrinaggio di preghiera nel cuore dell’Europa, cominciato con l’adorazione e concluso con la pietà popolare. Pregare, perché a questo è chiamato anzitutto il Popolo di Dio: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza, e in tutto questo sentire la pace e la gioia che ci dà il Signore. La nostra vita dev’essere così: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza. E ciò ha una particolare importanza nel continente europeo, dove la presenza di Dio viene annacquata – lo vediamo tutti i giorni: la presenza di Dio viene annacquata – dal consumismo e dai “vapori” di un pensiero unico – una cosa strana ma reale – frutto del miscuglio di vecchie e nuove ideologie. E questo ci allontana dalla familiarità con il Signore, dalla familiarità con Dio. Anche in tale contesto, la risposta che risana viene dalla preghiera, dalla testimonianza e dall’amore umile. L’amore umile che serve. Riprendiamo questa idea: il cristiano è per servire.
È quello che ho visto nell’incontro con il popolo santo di Dio. Cosa ho visto? Un popolo fedele, che ha sofferto la persecuzione ateista. L’ho visto anche nei volti dei nostri fratelli e sorelle ebrei, con i quali abbiamo ricordato la Shoah. Perché non c’è preghiera senza memoria. Non c’è preghiera senza memoria. Cosa vuol dire, questo? Che noi, quando preghiamo, dobbiamo fare memoria della nostra vita, della vita del nostro popolo, della vita di tanta gente che ci accompagna nella città, tenendo conto di qual è stata la loro storia. Uno dei Vescovi slovacchi, già anziano, nel salutarmi mi ha detto: “Io ho fatto il conduttore di tram per nascondermi dai comunisti”. È bravo, questo Vescovo: nella dittatura, nella persecuzione lui era un conduttore di tram, poi di nascosto faceva il suo “mestiere” di Vescovo e nessuno lo sapeva. Così è nella persecuzione. Non c’è preghiera senza memoria. La preghiera, la memoria della propria vita, della vita del proprio popolo, della propria storia: fare memoria e ricordare. Questo fa bene e aiuta a pregare.
2. Secondo aspetto: questo viaggio è stato un pellegrinaggio alle radici. Incontrando i fratelli Vescovi, sia a Budapest sia a Bratislava, ho potuto toccare con mano il ricordo grato di queste radici di fede e di vita cristiana, vivide nell’esempio luminoso di testimoni della fede, come il Cardinal Mindszenty e il Cardinal Korec, come il Beato Vescovo Pavel Peter Gojdič. Radici che scendono in profondità fino al nono secolo, fino all’opera evangelizzatrice dei santi fratelli Cirillo e Metodio, che hanno accompagnato questo viaggio come una presenza costante. Ho percepito la forza di queste radici nella celebrazione della Divina Liturgia in rito bizantino, a Prešov, nella festa della Santa Croce. Nei canti ho sentito vibrare il cuore del santo popolo fedele, forgiato da tante sofferenze patite per la fede.
Più volte ho insistito sul fatto che queste radici sono sempre vive, piene della linfa vitale che è lo Spirito Santo, e che come tali devono essere custodite: non come reperti da museo, non ideologizzate e strumentalizzate per interessi di prestigio e di potere, per consolidare un’identità chiusa. No. Questo vorrebbe dire tradirle e sterilizzarle! Cirillo e Metodio non sono per noi personaggi da commemorare, ma modelli da imitare, maestri da cui sempre imparare lo spirito e il metodo dell’evangelizzazione, come pure dell’impegno civile – durante questo viaggio nel cuore dell’Europa ho pensato spesso ai padri dell’Unione europea, come l’hanno sognata non come un’agenzia per distribuire le colonizzazioni ideologiche della moda, no, come l’hanno sognata loro. Così intese e vissute, le radici sono garanzia di futuro: da esse germogliano folti rami di speranza. Anche noi abbiamo radici: ognuno di noi ha le proprie radici. Ricordiamo le nostre radici? Dei padri, dei nonni? E siamo collegati ai nonni che sono un tesoro? “Ma, sono vecchi …”. No, no: loro ti danno la linfa, tu devi andare da loro e prendere per crescere e portare avanti. Noi non diciamo: “Va’, e rifugiati nelle radici”: no, no. “Va’ alle radici, prendi da lì la linfa e vai avanti. Vai al tuo posto”. Non dimenticatevi di questo. E vi ripeto quello che ho detto tante volte, quel verso tanto bello: “Tutto quello che l’albero ha di fiorito gli viene da quello che ha di sotterrato”. Tu puoi crescere nella misura in cui sei unito alle radici: ti viene la forza da lì. Se tu tagli le radici, tutto nuovo, ideologie nuove, non ti porta a nulla questo, non ti fa crescere: finirai male.
3. Il terzo aspetto di questo Viaggio è stato un pellegrinaggio di speranza. Preghiera, radici e speranza, i tre tratti. Ho visto tanta speranza negli occhi dei giovani, nell’indimenticabile incontro allo stadio di Košice. Questo anche mi ha dato speranza, vedere tante, tante coppie giovani e tanti bambini. E ho pensato all’inverno demografico che noi stiamo vivendo, e quei Paesi fioriscono di coppie giovani e di bambini: un segno di speranza. Specialmente in tempo di pandemia, questo momento di festa è stato un segno forte e incoraggiante, anche grazie alla presenza di numerose coppie giovani, coi loro bambini. Come forte e profetica è la testimonianza della Beata Anna Kolesárová, ragazza slovacca che a costo della vita difese la propria dignità contro la violenza: una testimonianza più che mai attuale, purtroppo, perché la violenza sulle donne è una piaga aperta dappertutto.
Ho visto speranza in tante persone che, silenziosamente, si occupano e si preoccupano del prossimo. Penso alle Suore Missionarie della Carità del Centro Betlemme a Bratislava, brave suorine, che ricevono gli scartati della società: pregano e servono, pregano e aiutano. E pregano tanto e aiutano tanto, senza pretese. Sono gli eroi di questa civilizzazione. Io vorrei che tutti noi facessimo una riconoscenza a Madre Teresa e a queste suore: tutti insieme un applauso a queste suore brave! Queste suore accolgono le persone senzatetto. Penso alla comunità Rom e a quanti si impegnano con loro per un cammino di fraternità e di inclusione. È stato commovente condividere la festa della comunità Rom: una festa semplice, che sapeva di Vangelo. I Rom sono dei fratelli nostri: dobbiamo accoglierli, dobbiamo essere vicini come fanno i Padri salesiani lì a Bratislava, vicinissimi ai Rom.
Cari fratelli e sorelle, questa speranza, questa speranza di Vangelo che ho potuto vedere nel viaggio, si realizza, si fa concreta solo se declinata con un’altra parola: insieme. La speranza mai delude, la speranza non va mai da sola, ma insieme. A Budapest e in Slovacchia ci siamo trovati insieme con i diversi riti della Chiesa Cattolica, insieme con i fratelli di altre Confessioni cristiane, insieme con i fratelli Ebrei, insieme con i credenti di altre religioni, insieme con i più deboli. Questa è la strada, perché il futuro sarà di speranza se sarà insieme, non da soli: questo è importante.
E dopo questo viaggio, nel mio cuore c’è un grande “grazie”. Grazie ai Vescovi, grazie alle Autorità civili, grazie al Presidente dell’Ungheria e alla Presidente della Slovacchia; grazie a tutti i collaboratori nell’organizzazione; grazie ai tanti volontari; grazie a ciascuno di quanti hanno pregato. Per favore, aggiungete ancora una preghiera, perché i semi sparsi durante il Viaggio portino buoni frutti. Preghiamo per questo.