DOMENICA 29 Dicembre
GIUSEPPE PRESE CON SÉ IL BAMBINO E FUGGÌ IN EGITTO
LA liturgia ci invita a riflettere sulla realtà della famiglia, attingendo alla sapienza di Israele. Il libro del Siracide (I Lettura), richiama delle indicazioni per i rapporti interni alla famiglia, onore e rispetto verso i genitori, riverirli non solo a parole, ma nei fatti, è fonte di benedizione divina. La lettera ai Colossesi (II Lettura), prolunga l’insegnamento sapienziale, elencando i diritti e i doveri che devono caratterizzare i rapporti familiari: agire «come si conviene nel Signore », fare tutto «ciò che è gradito al Signore». Una famiglia perseguitata quella di Gesù, che non ha il favore delle autorità. Il Signore però prende le difese di questa famiglia, e non permette che l’arroganza e il potere distruggano un sogno grande come quello di Maria e Giuseppe. Il Vangelo odierno invita le famiglie credenti a vedere in Giuseppe un modello straordinario da imitare, un uomo consapevole delle proprie responsabilità, totalmente distaccato dai propri interessi, che accetta con fede l’invito del Signore a mettersi in cammino, per difendere la vita della sua famiglia e vegliare su di essa. Maria, nel testo dell’evangelista Matteo è chiamata la «madre del bambino». Tutta la sua vita è incentrata su di lui. (da La Domenica)
RIFLESSIONE
Il mistero del Natale porta la nostra attenzione su Gesù, ma allo stesso tempo ci invita a considerare che Egli ha voluto inserirsi in una famiglia normale. La Chiesa ce lo ricorda con l’ istituzione della Festa della Santa Famiglia di Nazaret, collocata proprio dopo la solennità del S. Natale. Così, essa intende celebrare l’esperienza della vita della famiglia di Gesù come quella di una famiglia normale e proporcela quale modello delle nostre famiglie.
Il brano del Vangelo odierno elimina i versetti 16-18, che narrano la strage degli innocenti, e ci descrive alcune vicende drammatiche della famiglia di Nazaret. L’ostilità del re Erode si trasforma in una vera strage. Alle sue funeste macchinazioni che mirano ad uccidere il bambino Gesù si contrappone l’intervento divino mediante un angelo. Giuseppe è l’esecutore degli ordini divini; è colui che con la sua obbedienza protegge Gesù.
Nel brano evangelico si possono ravvisare due scene: la prima riguarda la fuga in Egitto; la seconda il ritorno dall’Egitto e l’insediamento della famiglia nella città di Nazaret. Ogni scena si conclude con la citazione di un testo che indica il compimento di una profezia dell’Antico Testamento. Matteo commenta gli avvenimenti alla luce dell’Antico Testamento, nel senso che quello che è stato profeticamente annunziato nell’Antico Testamento si compie in Gesù. La fuga in Egitto è vista come realizzazione della profezia del profeta Osea 11,1: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Nel contesto dell’esodo dall’Egitto, della liberazione dalla schiavitù egiziana, il popolo di Israele è denominato “figlio primogenito” di Dio (cf Es 4,22). Questa relazione filiale si attua nella pienezza in Gesù, Figlio di Dio. Per Matteo il popolo di Israele era una figura di Gesù, vero Figlio di Dio.
Nella seconda scena l’evangelista, nel parlare del ritorno di Gesù dall’Egitto e del suo insediamento a Nazaret, mette in risalto che questo costituisce il compimento di ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno». La scelta della dimora a Nazaret non è casuale. Essa rientra in un piano divino profeticamente annunziato, e sintetizzato nel titolo con cui Gesù è chiamato:Nazareno. Matteo non fa riferimento ad un determinato profeta, ma parla di “profeti”. Si ritiene che egli si richiami al testo di Gdc 13,5,7, dove si annunzia la nascita di Sansone che sarà “consacrato a Dio”e destinato a salvare il popolo di Israele dai Filistei, oppure alluda ad Is 11,1, che parla del messia come “germoglio” dal tronco di Jesse. In questo contesto il termine “nazareno” per Matteo qualificherebbe Gesù messia, consacrato alla missione affidatagli da Dio: quella di essere salvatore degli uomini. Ma non è da escludere che Matteo, nell’ attribuire a Gesù il termine “nazareno”, si richiami in modo generico ai profeti; e ciò nel senso che essi avevano profetizzato che non sarebbe stata fatta buona accoglienza ad un messia venuto nell’umiltà, senza alcun prestigio mondano (cf particolarmente Is 53). Gesù, con la sua origine storica irrilevante ed umile, realizza il piano messianico e salvifico di Dio.
Il brano evangelico, nella sua scarna brevità, ci presenta un intreccio di cooperazione divino – umana, volta a realizzare il disegno divino in Cristo. Due caratteristiche essenziali emergono nella famiglia semplice, povera della piccola città di Nazaret. La prima è la fiducia in Dio, la quale è disponibilità ad entrare nel suo piano accogliendo tutte le sorprese nascoste. La seconda è l’amore reciproco che lega assieme i suoi membri. (da Confraternita di San Giovanni Battista de’ Genovesi
Dal «Discorso» del Papa Paolo VI, tenuto a Nazaret il 5 gennio 1964
La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare. Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo. Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo… Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale.