FRANCESCO

COSTITUZIONE APOSTOLICA
PASCITE GREGEM DEI

CON CUI VIENE RIFORMATO IL LIBRO VI
DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO

«Pascete il gregge di Dio, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio» (cf. 1Pt 5, 2). Le parole ispirate dell’Apostolo Pietro riecheggiano in quelle del rito della ordinazione episcopale: «il Signore nostro Gesù Cristo, inviato dal Padre a redimere gli uomini, mandò a sua volta nel mondo i dodici apostoli, perché pieni della potenza dello Spirito Santo, annunziassero il Vangelo a tutti i popoli e riunendoli sotto l’unico pastore, li santificassero e li guidassero alla salvezza. (…) È Cristo che nella sapienza e prudenza del Vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna» (cf. Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, seconda edizione «tipica» per la lingua italiana, 1992, n. 42). E il Pastore è chiamato a esercitare il suo compito «col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà» (Lumen gentium, n. 27), giacché la carità e la misericordia richiedono che un Padre si impegni anche a raddrizzare ciò che talvolta diventa storto.

Procedendo nel suo pellegrinaggio terreno, sin dai tempi apostolici, la Chiesa si è data regole di condotta che nel corso dei secoli hanno composto un coeso corpo di norme vincolanti, che rendono unito il Popolo di Dio e della cui osservanza sono responsabili i Vescovi. Tali norme riflettono la fede che noi tutti professiamo, dalla quale traggono la loro forza obbligante, e su di essa fondate, manifestano la materna misericordia della Chiesa, che sa di aver sempre come fine la salvezza delle anime. Dovendo regolare la vita della comunità nello scorrere del tempo, è necessario che tali norme siano strettamente correlate con i cambiamenti sociali e le nuove esigenze del Popolo di Dio, il che rende talora necessario modificarle e adattarle alle mutate circostanze.

Tra i rapidi mutamenti sociali che sperimentiamo, consapevoli che «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca» (Udienza alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 21 dicembre 2019), per rispondere adeguatamente alle esigenze della Chiesa in tutto il mondo, appariva evidente la necessità di sottoporre a revisione anche la disciplina penale promulgata da San Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983, nel Codice di Diritto Canonico, e che occorreva modificarla in modo da permettere ai Pastori di utilizzarla come più agile strumento salvifico e correttivo, da impiegare tempestivamente e con carità pastorale ad evitare più gravi mali e lenire le ferite provocate dall’umana debolezza.

A tal fine, Benedetto XVI, mio venerato Predecessore, nel 2007, diede mandato al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi di avviare lo studio per una revisione della normativa penale contenuta nel Codice del 1983. In forza di tale incarico il Dicastero si è attentamente impegnato nell’esaminare in concreto le nuove esigenze, nell’individuare i limiti e le carenze della vigente legislazione e nell’indicare soluzioni possibili, chiare e semplici. Lo studio si è realizzato in spirito di collegialità e cooperazione, anche con l’ausilio di esperti e di Pastori e correlando le possibili soluzioni alle esigenze e all’indole delle diverse chiese locali.

È stata dunque redatta una prima bozza del nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico, inviata a tutte le Conferenze Episcopali, ai Dicasteri della Curia Romana, ai Superiori Maggiori di Istituti Religiosi, alle Facoltà di Diritto Canonico e ad altre Istituzioni ecclesiastiche, per raccoglierne le osservazioni. Nel contempo sono stati interpellati anche numerosi canonisti ed esperti in diritto penale di tutto il mondo. I responsi di questa prima consultazione, debitamente ordinati, sono stati poi trasmessi ad un gruppo speciale di esperti, che ha rivisto la bozza alla luce dei suggerimenti ricevuti, per poi sottoporla nuovamente al vaglio dei consultori. Infine, dopo ulteriori revisioni e confronti, la bozza finale è stata esaminata nella Sessione Plenaria dei Membri del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Da ultimo, eseguite le correzioni inserite dalla Plenaria, il testo è stato trasmesso al Romano Pontefice nel mese di febbraio del 2020.

L’osservanza della disciplina penale è doverosa per l’intero Popolo di Dio, ma la responsabilità della sua corretta applicazione – come sopra affermato – compete specificamente ai Pastori e ai Superiori delle singole comunità. È un compito che non può essere in alcun modo disgiunto dal munus pastorale ad essi affidato, e che va portato a compimento come concreta ed irrinunciabile esigenza di carità non solo nei confronti della Chiesa, della comunità cristiana e delle eventuali vittime, ma anche nei confronti di chi ha commesso un delitto, che ha bisogno all’un tempo della misericordia che della correzione da parte della Chiesa.

In passato, ha causato molti danni la mancata percezione dell’intimo rapporto esistente nella Chiesa tra l’esercizio della carità e il ricorso – ove le circostanze e la giustizia lo richiedano – alla disciplina sanzionatoria. Tale modo di pensare – l’esperienza lo insegna – rischia di portare a vivere con comportamenti contrari alla disciplina dei costumi, al cui rimedio non sono sufficienti le sole esortazioni o i suggerimenti. Questa situazione spesso porta con sé il pericolo che con il trascorrere del tempo, siffatti comportamenti si consolidino al punto tale da renderne più difficile la correzione e creando in molti casi scandalo e confusione tra i fedeli. È per questo che l’applicazione delle pene diventa necessaria da parte dei Pastori e dei Superiori. La negligenza di un Pastore nel ricorrere al sistema penale rende manifesto che egli non adempie rettamente e fedelmente la sua funzione, come ho espressamente ammonito in recenti documenti, tra i quali le Lettere Apostoliche date in forma di «Motu Proprio» (Come una Madre amorevole del 4 giugno 2016 e Vos estis lux mundi del 7 maggio 2019).

Invero la carità richiede che i Pastori ricorrano al sistema penale tutte le volte che occorra, tenendo presenti i tre fini che lo rendono necessario nella comunità ecclesiale, e cioè il ripristino delle esigenze della giustizia, l’emendamento del reo e la riparazione degli scandali.

Come ho detto recentemente, la sanzione canonica ha anche una funzione riparatoria e salvifica e cerca soprattutto il bene del fedele, per cui «rappresenta un mezzo positivo per la realizzazione del Regno, per ricostruire la giustizia nella comunità dei fedeli, chiamati alla personale e comune santificazione» (Ai Partecipanti alla Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, 21 febbraio 2020).

Nel rispetto dunque della continuità con i lineamenti generali del sistema canonico, che segue una tradizione della Chiesa consolidata nel tempo, il nuovo testo introduce modifiche di vario genere al diritto vigente e sanziona alcune nuove figure delittuose, che rispondono alla sempre più diffusa esigenza nelle varie comunità di veder ristabilita la giustizia e l’ordine che il delitto ha infranto.

Risulta altresì migliorato il testo dal punto di vista tecnico, soprattutto per quanto concerne aspetti fondamentali del diritto penale, quali ad esempio il diritto di difesa, la prescrizione dell’azione penale, una più precisa determinazione delle pene, che risponde alle esigenze della legalità penale ed offre agli Ordinari e ai Giudici criteri oggettivi nella individuazione della sanzione più appropriata da applicare nel caso concreto.

È stato pure seguito nella revisione il principio di ridurre i casi nei quali l’imposizione di una sanzione è lasciata alla discrezione dell’autorità, così da favorire nell’applicazione delle pene, servatis de iure servandis, l’unità ecclesiale, specie per delitti che maggiore danno e scandalo provocano nella comunità.

Tutto ciò premesso, con la presente Costituzione Apostolica, promulgo il testo revisionato del Libro VI del Codice di Diritto Canonico così come è stato ordinato e rivisto, nella speranza che esso risulti strumento per il bene delle anime, e che le sue prescrizioni siano applicate dai Pastori, quando necessario, con giustizia e misericordia, nella consapevolezza che appartiene al loro ministero, come dovere di giustizia – eminente virtù cardinale – comminare pene quando lo esiga il bene dei fedeli.

Infine, affinché tutti possano agevolmente comprendere a fondo le disposizioni di cui si tratta, stabilisco che questa revisione del Libro VI del Codice di Diritto Canonico venga promulgata mediante la pubblicazione su L’Osservatore Romano, entri in vigore a partire dal giorno 8 dicembre 2021 e sia successivamente inserito nel Commentario ufficiale Acta Apostolicae Sedis.

Stabilisco altresì che con la entrata in vigore del nuovo Libro VI sia abrogato il vigente Libro VI del Codice di Diritto Canonico, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di particolare menzione.

Dato a Roma, presso San Pietro, Solennità di Pentecoste, 23 maggio 2021, nono anno del mio Pontificato.