“Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40).
Il Vangelo di Matteo racconta in questo capitolo la scelta che Gesù fa dei Dodici e il loro invio alla predicazione del suo messaggio.
Sono nominati ad uno ad uno, segno del rapporto personale che hanno costruito con il Maestro, avendolo seguito fin dall’inizio della sua missione. Ne hanno conosciuto lo stile, fatto soprattutto di vicinanza con i malati, i peccatori e quelli considerati indemoniati; tutte persone scartate, giudicate negativamente, da cui tenersi alla larga. Solo dopo questi segni concreti dell’amore per il suo popolo, Gesù stesso si prepara ad annunciare che il Regno di Dio è vicino.
Gli apostoli sono dunque inviati a nome di Gesù, come suoi “ambasciatori” ed è Lui che deve essere accolto attraverso di loro. Spesso i grandi personaggi della Bibbia, per l’apertura del cuore verso un ospite inatteso, fuori programma, ricevono la visita di Dio stesso. Anche oggi, soprattutto nelle culture che mantengono un forte senso comunitario, l’ospite è sacro anche quando è sconosciuto e per lui si prepara il posto migliore.
“Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40).
Gesù istruisce i Dodici: essi devono mettersi in cammino, a piedi nudi e con pochi bagagli: una bisaccia leggera, una sola tunica… Devono lasciarsi trattare da ospiti, disposti ad accettare le attenzioni degli altri, con umiltà; devono offrire gratuitamente cura e vicinanza ai poveri e lasciare in dono a tutti la pace. Come Gesù, saranno pazienti nelle incomprensioni e nelle persecuzioni, sicuri dell’assistenza dell’amore del Padre. In questo modo, chi avrà la fortuna di incontrare qualcuno di loro potrà veramente sperimentare la tenerezza di Dio.
“Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40).
Tutti i cristiani hanno una missione, come i discepoli: testimoniare con mitezza, prima con la vita e poi anche con la parola, l’amore di Dio che essi stessi hanno incontrato, perché diventi una gioiosa realtà per tanti, per tutti. E poiché hanno trovato accoglienza presso Dio, pur con le loro fragilità, la prima testimonianza è proprio l’accoglienza premurosa del fratello.
In una società spesso segnata dalla ricerca di successo e di autonomia egoistica, i cristiani sono chiamati a mostrare la bellezza della fraternità, che riconosce il bisogno l’uno dell’altro e mette in moto la reciprocità.
“Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40).
Così ha scritto Chiara Lubich, riguardo l’accoglienza evangelica: «[…] Gesù è stato la manifestazione dell’amore pienamente accogliente del Padre celeste verso ciascuno di noi e dell’amore che, di conseguenza, noi dovremmo avere gli uni verso gli altri. […] Cercheremo allora di vivere questa Parola di vita innanzitutto all’interno delle nostre famiglie, associazioni, comunità, gruppi di lavoro, eliminando in noi i giudizi, le discriminazioni, le prevenzioni, i risentimenti, le intolleranze verso questo o quel prossimo, così facili e così frequenti, che tanto raffreddano e compromettono i rapporti umani ed impediscono, bloccando come una ruggine, l’amore vicendevole. […] L’accoglienza dell’altro, del diverso da noi, sta alla base dell’amore cristiano. È il punto di partenza, il primo gradino per la costruzione di quella civiltà dell’amore, di quella cultura di comunione, alla quale Gesù ci chiama soprattutto oggi»[1].
Letizia Magri
[1] Cf. C. Lubich, Parola di Vita dicembre 1992, in C. Lubich, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 513-514.