Basilica di San Pietro – Giovedì Santo, 14 aprile 2022
Nella Lettura del profeta Isaia che abbiamo ascoltato, il Signore fa una promessa carica di speranza che ci tocca da vicino: «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, / ministri del nostro Dio sarete detti. / […] Io darò loro fedelmente il salario, / concluderò con loro un’alleanza eterna» (61,6.8). Essere sacerdoti è, cari fratelli, una grazia, una grazia molto grande, che non è in primo luogo una grazia per noi, ma per la gente; [1] e per il nostro popolo è un dono grande il fatto che il Signore scelga, in mezzo al suo gregge, alcuni che si occupino delle sue pecore in modo esclusivo, come padri e pastori. È il Signore stesso a pagare il salario del sacerdote: «Io darò loro fedelmente il salario» ( Is 61,8). E Lui, lo sappiamo, è buon pagatore, benché abbia le sue particolarità, come quella di pagare prima gli ultimi e poi i primi: è nel suo stile.
La Lettura del libro dell’Apocalisse ci dice qual è il salario del Signore. È il suo Amore e il perdono incondizionato dei nostri peccati a prezzo del suo sangue versato sulla Croce: «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (1,5-6). Non c’è salario maggiore dell’amicizia con Gesù, non dimenticare questo. Non c’è pace più grande del suo perdono e questo lo sappiamo tutti. Non c’è prezzo più caro di quello del suo Sangue prezioso, che non dobbiamo permettere sia disprezzato con una condotta indegna.
Se leggiamo con il cuore, cari fratelli sacerdoti, questi sono inviti del Signore ad essergli fedeli, ad esser fedeli alla sua Alleanza, a lasciarci amare, a lasciarci perdonare; sono inviti non solo per noi stessi, ma anche affinché così possiamo servire, con una coscienza pulita, il santo popolo fedele di Dio. La gente lo merita e anche ne ha bisogno. Il Vangelo di Luca ci dice che, dopo che Gesù ebbe letto il passo del profeta Isaia davanti alla sua gente e si fu seduto, «gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (4,20). Anche l’Apocalisse ci parla oggi di occhi fissi su Gesù, dell’attrazione irresistibile del Signore crocifisso e risorto che ci porta ad adorare e a riconoscere: «Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. (1,7). La grazia finale, quando il Signore risorto ritornerà, sarà quella di un riconoscimento immediato: lo vedremo trafitto, riconosceremo chi è Lui e chi siamo noi, peccatori; niente più.
“Fissare gli occhi su Gesù” è una grazia che, come sacerdoti, dobbiamo coltivare. Al termine della giornata fa bene guardare al Signore, e che Lui ci guardi il cuore, insieme al cuore delle persone che abbiamo incontrato. Non si tratta di contabilizzare i peccati, ma di una contemplazione amorosa in cui guardiamo alla nostra giornata con lo sguardo di Gesù e vediamo così le grazie del giorno, i doni e tutto ciò che ha fatto per noi, per ringraziare. E gli mostriamo anche le nostre tentazioni, per riconoscerle e rigettarle. Come vediamo, si tratta di capire che cosa è gradito al Signore e che cosa vuole da noi qui e ora, nella nostra storia attuale.
E forse, se sosteniamo il suo sguardo pieno di bontà, da parte sua ci sarà anche un cenno affinché gli mostriamo i nostri idoli. Quegli idoli che come Rachele, abbiamo nascosto sotto le pieghe del nostro mantello (cfr Gen 31,34-35). Lasciare che il Signore guardi i nostri idoli nascosti – tutti ne abbiamo, tutti! – E questo lasciare che il Signore guardi questi idoli nascosti ci rende forti davanti ad essi e toglie loro il potere.
Lo sguardo del Signore ci fa vedere che, in realtà, in essi noi glorifichiamo noi stessi, [2] perché lì, in quello spazio che viviamo come se fosse esclusivo, si intromette il diavolo aggiungendo un elemento molto maligno: fa sì che non solo “compiacciamo” noi stessi dando briglia sciolta a una passione o coltivandone un’altra, ma ci conduce anche a sostituire con essi, con quegli idoli nascosti, la presenza delle Divine Persone, la presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito, che dimorano dentro di noi. È qualcosa che di fatto accade. Malgrado uno dica a sé stesso che distingue perfettamente che cos’è un idolo e chi è Dio, in pratica andiamo togliendo spazio alla Trinità per darlo al demonio, in una specie di adorazione indiretta: quella di chi lo nasconde, ma continuamente ascolta i suoi discorsi e consuma i suoi prodotti, in modo tale che alla fine non resta nemmeno un angolino per Dio. Perché Lui è così, Lui va avanti lentamente. E poi un’altra volta ho parlato dei demoni “educati”, quelli che Gesù dice che sono peggiori di quello che è stato cacciato via. Ma sono “educati”, suonano il campanello, entrano e passo a passo prendono possesso della casa. Dobbiamo stare attenti, questi sono gli idoli nostri.
È che gli idoli hanno qualcosa – un elemento – di personale. Quando non li smascheriamo, quando non lasciamo che Gesù ci faccia vedere che in essi stiamo cercando malamente noi stessi senza motivo e che lasciamo uno spazio in cui il Maligno si intromette. Dobbiamo ricordare che il demonio esige che noi facciamo la sua volontà e che lo serviamo, ma non sempre chiede che lo serviamo e lo adoriamo continuamente, no, sa muoversi, è un grande diplomatico. Ricevere l’adorazione di quando in quando gli basta per dimostrare che è il nostro vero signore e che persino si sente dio nella nostra vita e nel nostro cuore.
Detto questo, Vorrei condividere con voi, in questa Messa Crismale, tre spazi di idolatria nascosta nei quali il Maligno utilizza i suoi idoli per depotenziarci della nostra vocazione di pastori e, a poco a poco, separarci dalla presenza benefica e amorosa di Gesù, dello Spirito e del Padre.
Un primo spazio di idolatria nascosta si apre dove c’è mondanità spirituale, che è «una proposta di vita, è una cultura, una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparenza, una cultura del maquillage». [3] Il suo criterio è il trionfalismo, un trionfalismo senza Croce. E Gesù prega affinché il Padre ci difenda da questa cultura della mondanità. Questa tentazione di una gloria senza Croce va contro la persona del Signore, va contro Gesù che si umilia nell’Incarnazione e che, come segno di contraddizione, è l’unica medicina contro ogni idolo. Essere povero con Cristo povero e “perché Cristo ha scelto la povertà” è la logica dell’Amore e non un’altra. Nel brano evangelico di oggi vediamo come il Signore si colloca nella sua umile cappella e nel suo piccolo villaggio, quello di tutta la vita, per fare lo stesso Annuncio che farà alla fine della storia, quando verrà nella sua Gloria, circondato dagli angeli. E i nostri occhi devono stare fissi su Cristo, nel qui e ora della storia di Gesù con me, come lo saranno allora. La mondanità di andar cercando la propria gloria ci ruba la presenza di Gesù umile e umiliato, Signore vicino a tutti, Cristo dolente con tutti quelli che soffrono, adorato dal nostro popolo che sa chi sono i suoi veri amici. Un sacerdote mondano non è altro che un pagano clericalizzato. Un sacerdote mondano non è altro che un pagano clericalizzato.
Un altro spazio di idolatria nascosta mette le radici là dove si dà il primato al pragmatismo dei numeri. Coloro che hanno questo idolo nascosto si riconoscono per il loro amore alle statistiche, quelle che possono cancellare ogni tratto personale nella discussione e dare la preminenza alla maggioranza, che, in definitiva, diventa il criterio di discernimento, è brutto. Questo non può essere l’unico modo di procedere né l’unico criterio nella Chiesa di Cristo. Le persone non si possono “numerare”, e Dio non dà lo Spirito “con misura” (cfr Gv 3,34). In questo fascino per i numeri, in realtà, ricerchiamo noi stessi e ci compiacciamo del controllo assicuratoci da questa logica, che non s’interessa dei volti e non è quella dell’amore, ama i numeri. Una caratteristica dei grandi santi è che sanno tirarsi indietro così da lasciare tutto lo spazio a Dio. Questo tirarsi indietro, questo dimenticarsi di sé e voler essere dimenticati da tutti gli altri è la caratteristica dello Spirito, il quale manca di immagine, lo Spirito non ha immagine propria semplicemente perché è tutto Amore che fa brillare l’immagine del Figlio e, in essa, quella del Padre. La sostituzione della sua Persona, che già di per sé ama “non apparire” – perché non ha immagine -, è ciò a cui mira l’idolo dei numeri, che fa sì che tutto “appaia”, seppure in modo astratto e contabilizzato, senza incarnazione.
Un terzo spazio di idolatria nascosta, apparentato al precedente, è quello che si apre con il funzionalismo, un ambito seducente in cui molti, “più che per il percorso si entusiasmano per la tabella di marcia”. La mentalità funzionalista non tollera il mistero, punta all’efficacia. A poco a poco, questo idolo va sostituendo in noi la presenza del Padre. Il primo idolo sostituisce la presenza del Figlio, il secondo idolo quella dello Spirito, e questo la presenza del Padre. Il nostro Padre è il Creatore, ma non uno che solamente fa “funzionare” le cose, ma Uno che “crea” come Padre, con tenerezza, facendosi carico delle sue creature e operando affinché l’uomo sia più libero. Il funzionalista non sa gioire delle grazie che lo Spirito effonde sul suo popolo, delle quali potrebbe “nutrirsi” anche come lavoratore che si guadagna il suo salario. Il sacerdote con mentalità funzionalista ha il proprio nutrimento, che è il suo ego. Nel funzionalismo lasciamo da parte l’adorazione al Padre nelle piccole e grandi cose della nostra vita e ci compiacciamo dell’efficacia dei nostri programmi. Come ha fatto Davide quando, tentato da Satana, si impuntò per realizzare il censimento (cfr 1 Cr 21,1). Questi sono gli innamorati del piano di rotta, del piano del cammino, non del cammino.
In questi due ultimi spazi di idolatria nascosta (pragmatismo dei numeri e funzionalismo) sostituiamo la speranza, che è lo spazio dell’incontro con Dio, con il riscontro empirico. È un atteggiamento di vanagloria da parte del pastore, un atteggiamento che disintegra l’unione del suo popolo con Dio e plasma un nuovo idolo basato su numeri e programmi: l’idolo «il mio potere, il nostro potere», [4] il nostro programma, i nostri numeri, i nostri piani pastorali. Nascondere questi idoli (con l’atteggiamento di Rachele) e non saperli smascherare nella propria vita quotidiana fa male alla fedeltà della nostra alleanza sacerdotale e intiepidisce la nostra relazione personale con il Signore. Ma cosa vuole questo Vescovo che invece di parlare di Gesù ci parla degli idoli oggi? Qualcuno può pensare questo…
Cari fratelli, Gesù è l’unica via per non sbagliarci nel sapere che cosa sentiamo, a che cosa ci conduce il nostro cuore…; Egli è l’unica via per discernere bene confrontandoci con Lui, ogni giorno, come se anche oggi si fosse seduto nella nostra chiesa parrocchiale e ci avesse detto che oggi si è compiuto tutto quello che abbiamo ascoltato. Gesù Cristo, essendo segno di contraddizione – che non sempre è qualcosa di cruento o di duro, poiché la misericordia è segno di contraddizione e molto di più lo è la tenerezza – Gesù Cristo, dico, fa sì che questi idoli si rivelino, che si veda la loro presenza, le loro radici e il loro funzionamento, e così il Signore li possa distruggere, questa è la proposta: dare spazio perché il Signore possa distruggere i nostri idoli nascosti. E dobbiamo ricordarli, stare attenti, perché non rinasca la zizzania di questi idoli che abbiamo saputo nascondere tra le pieghe del nostro cuore.
E vorrei concludere chiedendo a San Giuseppe, padre castissimo e senza idoli nascosti, che ci liberi da ogni brama di possesso, poiché questa, la brama di possesso, è il terreno fecondo in cui crescono questi idoli. E che ci ottenga anche la grazia di non arrenderci nell’arduo compito di discernere questi idoli che, tanto frequentemente, nascondiamo o si nascondono. E chiediamo pure a San Giuseppe che, là dove dubitiamo su come fare meglio le cose, interceda per noi affinché lo Spirito ci illumini il giudizio, come illuminò il suo quando era tentato di lasciare “in segreto” ( lathra) Maria, in modo che, con nobiltà di cuore, sappiamo subordinare alla carità ciò che abbiamo appreso per legge. [5]
[1] Perché il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune. Il Signore ha scelto alcuni perché «in nome di Cristo svolgessero per gli uomini in forma ufficiale la funzione sacerdotale» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 10). «I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli» ( Lumen gentium, 18).
[2] Cfr Catechesi nell’Udienza generale, 1 agosto 2018.
[3] Omelia nella Messa a S. Marta, 16 maggio 2020.
[4] J.M. Bergoglio, Meditaciones para religiosos, Bilbao, Mensajero, 2014, 145.
[5] Cfr Lett. ap. Patris corde, 4, nota 18.