Giovedì santo – Messa in Coena Domini
Alle ore 15.45 di giovedì 30 marzo, Giovedì della Settimana Santa, Papa Francesco ha lasciato Santa Marta e si è recato nella Casa Circondariale Regina Coeli (Roma). Al suo arrivo, intorno alle 16, ha incontrato i detenuti ammalati in infermeria. Quindi ha presieduto la celebrazione della Messa in Coena Domini, inizio del Triduo Pasquale, e lasciato in dono l’Altare su cui ha celebrato. Nel corso del Rito il Santo Padre ha lavato i piedi a 12 detenuti provenienti da sette diversi Paesi: 4 sono italiani, 2 filippini, 2 marocchini, 1 moldavo, 1 colombiano, 1 nigeriano e 1 della Sierra Leone. Otto di loro sono di religione cattolica; due musulmani; uno ortodosso e uno buddista. Infine, prima di far rientro in Vaticano, ha incontrato alcuni detenuti della VIII Sezione. Di seguito riportiamo il testo della trascrizione dell’omelia che Papa Francesco ha tenuto a braccio dopo la proclamazione del Santo Vangelo e le parole finali.
Omelia del Santo Padre
Gesù finisce il suo discorso dicendo: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15). Lavare i piedi. I piedi, in quel tempo, erano lavati dagli schiavi: era un compito da schiavo. La gente percorreva la strada, non c’era l’asfalto, non c’erano i sampietrini; in quel tempo c’era la polvere della strada e la gente si sporcava i piedi. E all’entrata della casa c’erano gli schiavi che lavavano i piedi. Era un lavoro da schiavi. Ma era un servizio: un servizio fatto da schiavi. E Gesù volle fare questo servizio, per darci un esempio di come noi dobbiamo servirci gli uni gli altri. Una volta, quando erano in cammino, due dei discepoli che volevano fare carriera, avevano chiesto a Gesù di occupare dei posti importanti, uno alla sua destra e l’altro alla sinistra (cf. Mc 10, 35-45). E Gesù li ha guardati con amore – Gesù guardava sempre con amore – e ha detto: “Voi non sapete ciò che domandate” (v. 38). I capi delle Nazioni – dice Gesù – comandano, si fanno servire, e loro stanno bene (cf. v.42). Pensiamo a quell’epoca dei re, degli imperatori tanto crudeli, che si facevano servire dagli schiavi … Ma fra voi – dice Gesù – non deve essere lo stesso: chi comanda deve servire. Il capo vostro deve essere il vostro servitore (cf. v.43). Gesù capovolge l’abitudine storica, culturale di quell’epoca – anche questa di oggi – colui che comanda, per essere un bravo capo, sia dove sia, deve servire. Io penso tante volte – non a questo tempo perché ognuno ancora è vivo e ha l’opportunità di cambiare vita e non possiamo giudicare, ma pensiamo alla storia – se tanti re, imperatori, capi di Stato avessero capito questo insegnamento di Gesù e invece di comandare, di essere crudeli, di uccidere la gente avessero fatto questo, quante guerre non sarebbero state fatte! Il servizio: davvero c’è gente che non facilita questo atteggiamento, gente superba, gente odiosa, gente che forse ci augura del male; ma noi siamo chiamati servirli di più. E anche c’è gente che soffre, che è scartata dalla società, almeno per un periodo, e Gesù va lì a dir loro: Tu sei importante per me. Gesù viene a servirci, e il segnale che Gesù ci serve oggi qui, al carcere di Regina Coeli, è che ha voluto scegliere 12 di voi, come i 12 apostoli, per lavare i piedi. Gesù rischia su ognuno di noi. Sappiate questo: Gesù si chiama Gesù, non si chiama Ponzio Pilato. Gesù non sa lavarsi le mani: soltanto sa rischiare! Guardate questa immagine tanto bella: Gesù chinato tra le spine, rischiando di ferirsi per prendere la pecorella smarrita. Oggi io, che sono peccatore come voi, ma rappresentò Gesù, sono ambasciatore di Gesù. Oggi, quando io mi inchino davanti a ognuno di voi, pensate: “Gesù ha rischiato in quest’uomo, un peccatore, per venire da me e dirmi che mi ama”. Questo è il servizio, questo è Gesù: non ci abbandona mai; non si stanca mai di perdonarci. Ci ama tanto. Guardate come rischia, Gesù! E così, con questi sentimenti, andiamo avanti con questa cerimonia che è simbolica. Prima di darci il suo corpo e il suo sangue, Gesù rischia per ognuno di noi, e rischia nel servizio perché ci ama tanto.
Al gesto dello scambio della pace, il Santo Padre ha pronunciato queste parole:
E adesso, tutti noi – sono sicuro che tutti noi – abbiamo la voglia di essere in pace con tutti. Ma nel nostro cuore ci sono tante volte sentimenti contrastanti. È facile essere in pace con coloro a cui vogliamo bene e con quanti ci fanno del bene; ma non è facile essere in pace con quelli che ci hanno fatto torto, che non ci vogliono bene, con i quali siamo in inimicizia. In silenzio, un attimo, ognuno pensi a coloro che ci vogliono bene e a cui noi vogliamo bene, e anche ognuno di noi pensi a coloro che non ci vogliono bene e anche a coloro a cui noi non vogliamo e anche – anzi – a coloro su cui noi vorremmo vendicarci. E chiediamo al Signore, in silenzio, la grazia di dare a tutti, buoni e cattivi, il dono della pace.
Parole finali del Santo Padre
Parole del Santo Padre in risposta al saluto della direttrice del penitenziario e di un detenuto, al termine della Visita alla casa circondariale di Regina Coeli
Tu hai parlato di uno sguardo nuovo: rinnovare lo sguardo … Questo fa bene, perché alla mia età, per esempio, vengono le cateratte, e non si vede bene la realtà: l’anno prossimo dovremo fare l’intervento. Ma così succede con l’anima: il lavoro della vita, la stanchezza, gli sbagli, le delusioni oscurano lo sguardo, lo sguardo dell’anima. E per questo, quello che tu hai detto è vero: approfittare delle opportunità per rinnovare lo sguardo. E come ho detto in piazza S. Pietro [Udienza generale di ieri] in tanti paesini, ma anche nella mia terra, quando si sentono le campane della Resurrezione del Signore, le mamme, le nonne portano i bambini a lavarsi gli occhi perché abbiano lo sguardo della speranza del Cristo risorto. Non stancatevi mai di rinnovare lo sguardo. Di fare quell’intervento di cateratte all’anima, quotidiano. Ma sempre rinnovare lo sguardo. È un bello sforzo. Tutti voi conoscete la bottiglia di vino a metà: se io guardo la metà vuota, è brutta la vita, è brutta, ma se guardo la metà piena, ancora ho da bere. Lo sguardo che apre alla speranza, parola che tu hai detto e anche lei [la direttrice] ha detto; e lei l’ha ripetuta parecchie volte. Non si può concepire una casa circondariale come questa senza speranza. Qui, gli ospiti sono per imparare o fare crescere il “seminare speranza”: non c’è alcuna pena giusta – giusta! – senza che sia aperta alla speranza. Una pena che non sia aperta alla speranza non è cristiana, non è umana! Ci sono le difficoltà nella vita, le cose brutte, la tristezza – uno pensa ai suoi, pensa alla mamma, al papà, alla moglie, al marito, ai figli… è brutta, quella tristezza. Ma non lasciarsi andare giù: no, no. Io sono qui, ma per reinserirmi, rinnovato o rinnovata. E questa è la speranza. Seminare speranza. Sempre, sempre. Il vostro lavoro è questo: aiutare a seminare la speranza di reinserimento, e questo ci farà bene a tutti. Sempre. Ogni pena dev’essere aperta all’orizzonte della speranza. Per questo, non è né umana né cristiana la pena di morte. Ogni pena dev’essere aperta alla speranza, al reinserimento, anche per dare l’esperienza vissuta per il bene delle altre persone. Acqua di resurrezione, sguardo nuovo, speranza: questo vi auguro. So che voi ospiti avete lavorato tanto per preparare questa visita, anche imbiancare le pareti: vi ringrazio. È per me un segnale di benevolenza e di accoglienza, e vi ringrazio tanto. Vi sono vicino, prego per voi, e voi pregate per me e non dimenticatevi: l’acqua che fa lo sguardo nuovo, e la speranza.