CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Lettera Iuvenescit Ecclesia ai Vescovi della Chiesa cattolica
sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici
per la vita e la missione della Chiesa
Introduzione
I doni dello Spirito Santo nella Chiesa in missione
1. La Chiesa ringiovanisce in forza del Vangelo e lo Spirito continuamente la rinnova, edificandola e guidandola «con diversi doni gerarchici e carismatici»[1]. Il Concilio Vaticano II ha ripetutamente messo in rilievo l’opera meravigliosa dello Spirito Santo che santifica il Popolo di Dio, lo guida, lo adorna di virtù e lo arricchisce di grazie speciali per la sua edificazione. Multiforme è l’azione del divino Paraclito nella Chiesa, come amano evidenziare i Padri. Scrive Giovanni Crisostomo: «Quali grazie che operano la nostra salvezza non ci sono elargite dallo Spirito Santo? Per suo mezzo siamo liberati dalla schiavitù e chiamati alla libertà, siamo condotti all’adozione a figli e, per così dire, formati di nuovo, dopo aver deposto il pesante e odioso fardello dei nostri peccati. Per lo Spirito Santo vediamo assemblee di sacerdoti e possediamo schiere di dottori; da questa sorgente scaturiscono doni di rivelazioni, grazie di guarigioni e tutti gli altri carismi che decorano la Chiesa di Dio»[2]. Grazie alla stessa vita della Chiesa, ai numerosi interventi del Magistero e alla ricerca teologica, è felicemente cresciuta la consapevolezza della multiforme azione dello Spirito Santo nella Chiesa, destando così un’attenzione particolare ai doni carismatici, di cui in ogni tempo il Popolo di Dio è arricchito per lo svolgimento della sua missione.
Il compito di comunicare efficacemente il Vangelo risulta essere particolarmente urgente nel nostro tempo. Il Santo Padre Francesco, nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium, ricorda che «se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita»[3]. L’invito ad essere Chiesa “in uscita” porta a rileggere tutta la vita cristiana in chiave missionaria[4]. Il compito di evangelizzare riguarda tutti gli ambiti della Chiesa: la pastorale ordinaria, l’annuncio a coloro che hanno abbandonato la fede cristiana ed in particolare a coloro che non sono mai stati raggiunti dal Vangelo di Gesù o che lo hanno sempre rifiutato[5]. In questo compito imprescindibile di nuova evangelizzazione è più che mai necessario riconoscere e valorizzare i numerosi carismi capaci di risvegliare e alimentare la vita di fede del Popolo di Dio.
Le multiformi aggregazioni ecclesiali
2. Sia prima che dopo il Concilio Vaticano II sono sorte numerose aggregazioni ecclesiali che costituiscono una grande risorsa di rinnovamento per la Chiesa e per l’urgente «conversione pastorale e missionaria»[6] di tutta la vita ecclesiale. Al valore e alla ricchezza di tutte le realtà associative tradizionali, caratterizzate da scopi particolari, come anche degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, si aggiungono quelle realtà più recenti che possono essere descritte come aggregazioni di fedeli, movimenti ecclesiali e nuove comunità, sulle quali si sofferma il presente documento. Esse non possono essere intese semplicemente come un volontario consociarsi di persone al fine di perseguire uno scopo peculiare di carattere religioso o sociale. Il carattere di «movimento» li distingue nel panorama ecclesiale in quanto realtà fortemente dinamiche, capaci di suscitare particolare attrattiva per il Vangelo e di suggerire una proposta di vita cristiana tendenzialmente globale, investendo ogni aspetto dell’esistenza umana. L’aggregarsi dei fedeli con una intensa condivisione della esistenza, al fine di incrementare la vita di fede, speranza e carità, esprime bene la dinamica ecclesiale come mistero di comunione per la missione e si manifesta come un segno di unità della Chiesa in Cristo. In tal senso, queste aggregazioni ecclesiali, sorte da un carisma condiviso, tendono ad avere come scopo «il fine apostolico generale della Chiesa»[7]. In questa prospettiva, aggregazioni di fedeli, movimenti ecclesiali e nuove comunità propongono forme rinnovate della sequela di Cristo in cui approfondire la communio cum Deo e la communio fidelium, portando nei nuovi contesti sociali il fascino dell’incontro con il Signore Gesù e la bellezza dell’esistenza cristiana vissuta nella sua integralità. In tali realtà si esprime anche una peculiare forma di missione e di testimonianza, volta a favorire e sviluppare sia una viva consapevolezza della propria vocazione cristiana, che itinerari stabili di formazione cristiana e percorsi di perfezione evangelica. A queste realtà aggregative, a seconda dei diversi carismi, possono partecipare fedeli di stati di vita differenti (laici, ministri ordinati e persone consacrate), manifestando così la pluriforme ricchezza della comunione ecclesiale. La forte capacità aggregativa di tali realtà rappresenta una significativa testimonianza di come la Chiesa non cresca «per proselitismo ma “per attrazione”»[8].
Giovanni Paolo II rivolgendosi ai rappresentanti dei movimenti e delle nuove comunità ebbe a riconoscere in essi una «risposta provvidenziale»[9] suscitata dallo Spirito Santo alla necessità di comunicare in modo persuasivo il Vangelo in tutto il mondo, considerando i grandi processi di cambiamento in atto a livello planetario, segnati spesso da una cultura fortemente secolarizzata. Tale fermento dello Spirito «ha recato nella vita della Chiesa una novità inattesa, e talora persino dirompente»[10]. Lo stesso Pontefice ha ricordato che per tutte queste aggregazioni ecclesiali si apre il tempo della «maturità ecclesiale», che comporta la loro piena valorizzazione e inserzione «nelle Chiese locali e nelle parrocchie, e sempre rimanendo in comunione con i Pastori ed attenti alle loro indicazioni»[11]. Queste nuove realtà, per la cui esistenza il cuore della Chiesa è colmo di gioia e gratitudine, sono chiamate a relazionarsi positivamente con tutti gli altri doni presenti nella vita ecclesiale.
Scopo del presente documento
3. La Congregazione per la Dottrina della Fede con il presente documento intende richiamare, alla luce della relazione tra doni gerarchici e carismatici, quegli elementi teologici ed ecclesiologici la cui comprensione può favorire una feconda ed ordinata partecipazione delle nuove aggregazioni alla comunione ed alla missione della Chiesa. A tale scopo vengono presentati innanzitutto alcuni elementi chiave sia della dottrina sui carismi esposta nel Nuovo Testamento che della riflessione magisteriale su queste nuove realtà. Successivamente, a partire da alcuni principi di ordine teologico sistematico, si offrono elementi identitari dei doni gerarchici e carismatici, insieme ad alcuni criteri per il discernimento delle nuove aggregazioni ecclesiali.
I. I carismi secondo il Nuovo Testamento
Grazia e carisma
4. «Carisma» è la trascrizione della parola greca chárisma, il cui uso è frequente nelle Lettere paoline e compare anche nella prima Lettera di Pietro. Esso ha il senso generale di «dono generoso» e nel Nuovo Testamento è usato soltanto in riferimento a doni che provengono da Dio. In alcuni passi, il contesto gli conferisce un senso più preciso (cf. Rm 12, 6; 1 Cor 12, 4. 31; 1 Pt 4, 10), il cui tratto fondamentale è la distribuzione differenziata di doni[12]. Esso costituisce anche il senso prevalente nelle lingue moderne delle parole derivate da questo vocabolo greco. Ogni singolo carisma non è un dono accordato a tutti (cf. 1 Cor 12, 30), a differenza delle grazie fondamentali, come la grazia santificante, o i doni della fede, della speranza e della carità, che sono invece indispensabili ad ogni cristiano. I carismi sono doni particolari che lo Spirito distribuisce «come vuole» (1 Cor 12, 11). Per rendere conto della necessaria presenza dei diversi carismi nella Chiesa, i due testi più espliciti (Rm 12, 4-8; 1 Cor 12, 12-30) adoperano il paragone del corpo umano: «Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi» (Rm 12, 4-6). Tra le membra del corpo, la diversità non costituisce un’anomalia da evitare, ma al contrario è una necessità benefica, che rende possibile l’espletamento delle diverse funzioni vitali. «Se tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo» (1 Cor 12, 19-20). Una stretta relazione tra i carismi particolari (charísmata) e la grazia (cháris) di Dio viene affermata da Paolo in Rm 12, 6 e da Pietro in 1 Pt 4, 10[13]. I carismi vengono riconosciuti come una manifestazione della «multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10). Non si tratta, quindi, di semplici capacità umane. La loro origine divina viene espressa in diversi modi: secondo alcuni testi essi provengono da Dio (cf. Rm12, 3; 1 Cor 12, 28; 2 Tm 1, 6; 1 Pt 4, 10); secondo Ef 4, 7, provengono da Cristo; secondo 1 Cor 12, 4-11, dallo Spirito. Poiché quest’ultimo passo è il più insistente (nomina sette volte lo Spirito), i carismi vengono solitamente presentati come «manifestazione dello Spirito» (1 Cor 12, 7). È chiaro, tuttavia, che questa attribuzione non è esclusiva e non contraddice le due precedenti. I doni di Dio implicano sempre l’intero orizzonte trinitario, come è stato sempre affermato dalla teologia fin dai suoi inizi, sia in occidente che in oriente[14].
Doni elargiti «ad utilitatem» e il primato della carità
5. In 1 Cor 12, 7 Paolo dichiara che «la manifestazione dello Spirito è data a ciascuno per l’utilità». Molti traduttori aggiungono: «per l’utilità comune», perché la maggior parte dei carismi menzionati dall’Apostolo, anche se non tutti, hanno direttamente un’utilità comune. Questa destinazione all’edificazione di tutti è stata ben compresa, ad esempio da Basilio Magno, quando dice: «E questi doni ciascuno li riceve più per gli altri che per sé stesso […]. Nella vita comune è necessario che la forza dello Spirito Santo data all’uno venga trasmessa a tutti. Chi vive per conto suo, può forse avere un carisma, ma lo rende inutile conservandolo inattivo, perché lo ha sotterrato dentro di sé»[15]. Paolo, comunque, non esclude che un carisma possa essere utile soltanto alla persona che l’ha ricevuto. Tale è il caso del parlare in lingue, differente sotto questo aspetto dal dono della profezia[16]. I carismi che hanno un’utilità comune, siano essi carismi di parola (di sapienza, di conoscenza, di profezia, di esortazione) o di azione (di potenza, di ministero, di governo), hanno anche una utilità personale, perché il loro servizio al bene comune favorisce in coloro che ne sono portatori il progresso nella carità. Paolo osserva, in proposito, che, se manca la carità, anche i carismi più elevati non giovano alla persona che li riceve (cf. 1 Cor 13, 1-3). Un passo severo del Vangelo di Matteo (cf. Mt 7, 22-23) esprime la stessa realtà: l’esercizio di carismi vistosi (profezie, esorcismi, miracoli) può purtroppo coesistere con l’assenza di una relazione autentica con il Salvatore. Di conseguenza, tanto Pietro quanto Paolo insistono sulla necessità di orientare tutti i carismi alla carità. Pietro offre una regola generale: «mettere il carisma ricevuto al servizio gli uni degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10). Paolo si preoccupa in particolare dell’impiego dei carismi nei raduni della comunità cristiana e dice: «tutto si faccia per l’edificazione» (1 Cor 14, 26).
La varietà dei carismi
6. In alcuni testi troviamo un elenco di carismi, talvolta sommario (cf. 1 Pt 4, 10), altre volte più dettagliato (cf. 1 Cor 12, 8-10. 28-30; Rm 12, 6-8). Tra quelli elencati vi sono doni eccezionali (di guarigione, di opere di potenza, di varietà di lingue) e doni ordinari (di insegnamento, di servizio, di beneficenza), ministeri per la guida delle comunità (cf. Ef 4, 11) e doni concessi per mezzo dell’imposizione delle mani (cf. 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6). Non è sempre chiaro se tutti questi doni siano considerati o meno come «carismi» propriamente detti. I doni eccezionali, menzionati ripetutamente in 1 Cor 12-14, spariscono infatti dai testi posteriori; l’elenco di Rm 12, 6-8 presenta soltanto carismi meno vistosi, che hanno un’utilità costante per la vita della comunità cristiana. Nessuna di queste liste pretende la completezza. Altrove, ad esempio, Paolo suggerisce che la scelta del celibato per amore di Cristo sia intesa come frutto di un carisma, così come quella del matrimonio (cf. 1 Cor 7, 7, nel contesto di tutto il capitolo). Le sue sono esemplificazioni che dipendono dal grado di sviluppo raggiunto dalla Chiesa di quel tempo e che sono quindi suscettibili di ulteriori aggiunte. La Chiesa, infatti, sempre cresce nel tempo grazie all’azione vivificante dello Spirito.
Il buon esercizio dei carismi nella comunità ecclesiale
7. Da quanto rilevato, appare evidente che non si dà nei testi scritturistici una contrapposizione tra i diversi carismi, ma piuttosto una loro armonica connessione e complementarietà. L’antitesi tra una Chiesa istituzionale di tipo giudeo-cristiano e una Chiesa carismatica di tipo paolino, affermata da certe interpretazioni ecclesiologiche riduttive, non trova in realtà un fondamento adeguato nei brani del Nuovo Testamento. Lungi dal situare i carismi da una parte e le realtà istituzionali dall’altra, o dall’opporre una Chiesa “della carità” ad una Chiesa “dell’istituzione”, Paolo raccoglie in un unico elenco coloro che sono portatori di carismi di autorità e insegnamento, di carismi che giovano alla vita ordinaria della comunità e di carismi più clamorosi[17]. Lo stesso Paolo descrive il suo ministero di Apostolo come «ministero dello Spirito» (2 Cor 3, 8). Egli si sente investito dell’autorità (exousía), donatagli dal Signore (cf. 2 Cor 10, 8; 13, 10), un’autorità che si estende anche nei confronti dei carismatici. Sia lui che Pietro donano ai carismatici delle istruzioni sul modo con cui esercitare i carismi. Il loro atteggiamento è anzitutto di accoglienza favorevole; si mostrano convinti dell’origine divina dei carismi; non li considerano tuttavia come doni che autorizzino a sottrarsi all’obbedienza verso la gerarchia ecclesiale o conferiscano il diritto ad un ministero autonomo. Paolo si mostra consapevole degli inconvenienti che un esercizio disordinato dei carismi può provocare nella comunità cristiana[18]. L’Apostolo quindi interviene con autorità per stabilire regole precise per l’esercizio dei carismi «nella Chiesa» (1 Cor 14, 19. 28), cioè nei raduni della comunità (cf. 1 Cor 14, 23. 26). Egli limita, ad esempio, l’esercizio della glossolalia[19]. Regole simili vengono date anche per il dono della profezia (cf. 1 Cor 14, 29-31)[20].
Doni gerarchici e carismatici
8. In sintesi, da un esame dei testi biblici riguardo ai carismi, risulta che il Nuovo Testamento, pur non offrendo un insegnamento sistematico completo, presenta affermazioni di grande importanza che orientano la riflessione e la prassi ecclesiale. Si deve anche riconoscere che non vi troviamo un uso univoco del termine “carisma”; piuttosto occorre constatare una varietà di significati, che la riflessione teologica e il Magistero aiutano a comprendere nell’ambito di una visione complessiva del mistero della Chiesa. Nel presente documento l’attenzione viene posta sul binomio evidenziato nel n. 4 della Costituzione dogmatica Lumen gentium, ove si parla di «doni gerarchici e carismatici», i rapporti tra i quali appaiono stretti e articolati. Essi hanno la stessa origine e lo stesso scopo. Sono doni di Dio, dello Spirito Santo, di Cristo, dati per contribuire, in modi diversi, all’edificazione della Chiesa. Chi ha ricevuto il dono di guidare nella Chiesa ha anche il compito di vigilare sul buon esercizio degli altri carismi, in modo che tutto concorra al bene della Chiesa e alla sua missione evangelizzatrice, ben sapendo che è lo Spirito Santo a distribuire i doni carismatici a ciascuno come vuole (cf. 1 Cor 12, 11). Lo stesso Spirito dona alla gerarchia della Chiesa la capacità di discernere i carismi autentici, di accoglierli con gioia e gratitudine, di promuoverli con generosità e di accompagnarli con vigilante paternità. La storia stessa ci testimonia la pluriformità dell’azione dello Spirito, mediante la quale la Chiesa, edificata «sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2, 20), vive la sua missione nel mondo.
II. La relazione tra doni gerarchici e carismatici nel Magistero recente
Il Concilio Vaticano II
9. Il sorgere dei differenti carismi non è mai venuto meno nel corso della secolare storia ecclesiale e, tuttavia, solo in epoca recente si è sviluppata una sistematica riflessione su di essi. Al riguardo, uno spazio significativo alla dottrina dei carismi è rinvenibile nel Magistero espresso da Pio XII nella Lettera enciclica Mystici corporis[21], mentre un passo decisivo nella comprensione adeguata della relazione tra doni gerarchici e carismatici viene compiuto con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. I passaggi rilevanti a questo proposito[22] indicano nella vita della Chiesa, oltre alla Parola di Dio, scritta e trasmessa, ai Sacramenti e al ministero gerarchico ordinato, la presenza di doni, di grazie speciali o carismi, elargiti dallo Spirito tra i fedeli di ogni condizione. Il passaggio emblematico a questo proposito è quello offerto da Lumen gentium, n. 4: «Lo Spirito […] guida la Chiesa verso la verità tutta intera (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel servizio, la costruisce e la dirige mediante i diversi doni gerarchici e carismatici, e la arricchisce dei suoi frutti (cf. Ef 4,11-12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22)»[23]. In tal modo la Costituzione dogmatica Lumen gentium, nel presentare i doni del medesimo Spirito, mediante la distinzione tra i doni gerarchici e quelli carismatici, sottolinea la loro differenza nell’unità. Significative appaiono anche le affermazioni in Lumen gentium, n. 12 circa la realtà carismatica, nel contesto della partecipazione del Popolo di Dio all’ufficio profetico di Cristo, in cui si riconosce come lo Spirito Santo non si limiti «a santificare e a guidare il Popolo di Dio per mezzo dei Sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù», ma «dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa».
Infine, si descrive la loro pluriformità e provvidenzialità: «questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione»[24]. Riflessioni analoghe si trovano anche nel Decreto conciliare sull’apostolato dei laici[25]. Il medesimo documento afferma come tali doni non debbano essere ritenuti facoltativi nella vita della Chiesa; piuttosto «dall’aver ricevuto questi carismi, anche i più semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e ad edificazione della Chiesa, sia nella Chiesa stessa che nel mondo con la libertà dello Spirito»[26]. Pertanto, gli autentici carismi vanno considerati come doni di importanza irrinunciabile per la vita e per la missione ecclesiale. E’ costante, infine, nell’insegnamento conciliare, il riconoscimento del ruolo essenziale dei pastori nel discernimento dei carismi e per il loro esercizio ordinato all’interno della comunione ecclesiale[27].
Il Magistero postconciliare
10. Nel periodo successivo al Concilio Vaticano II, gli interventi del Magistero a questo proposito si sono moltiplicati[28]. A ciò ha contribuito la crescente vitalità di nuovi movimenti, aggregazioni di fedeli e comunità ecclesiali, insieme all’esigenza di precisare la collocazione della vita consacrata all’interno della Chiesa[29]. Giovanni Paolo II nel suo Magistero ha insistito particolarmente sul principio della coessenzialità di questi doni: «Più volte ho avuto modo di sottolineare come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i Movimenti sono un’espressione significativa. Ambedue sono co-essenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo»[30]. Papa Benedetto XVI, oltre a ribadire la loro coessenzialità, ha approfondito l’affermazione del Suo predecessore, ricordando che «nella Chiesa anche le istituzioni essenziali sono carismatiche e d’altra parte i carismi devono in un modo o nell’altro istituzionalizzarsi per avere coerenza e continuità. Così, ambedue le dimensioni, originate dallo stesso Spirito Santo per lo stesso Corpo di Cristo, concorrono insieme a rendere presente il mistero e l’opera salvifica di Cristo nel mondo»[31]. I doni gerarchici e quelli carismatici risultano in tal modo reciprocamente relazionati fin dalla loro origine. Il Santo Padre Francesco, infine, ha ricordato «l’armonia» che lo Spirito crea tra i diversi doni, e ha richiamato le aggregazioni carismatiche all’apertura missionaria, alla necessaria obbedienza ai pastori e all’immanenza ecclesiale[32], poiché «è all’interno della comunità che sbocciano e fioriscono i doni di cui ci ricolma il Padre; ed è in seno alla comunità che si impara a riconoscerli come un segno del suo amore per tutti i suoi figli»[33]. In definitiva, è dunque possibile riconoscere una convergenza del recente Magistero ecclesiale sulla coessenzialità tra doni gerarchici e carismatici. Una loro contrapposizione, come anche una loro giustapposizione, sarebbe sintomo di una erronea o insufficiente comprensione dell’azione dello Spirito Santo nella vita e nella missione della Chiesa.
III. Il fondamento teologico della relazione tra doni gerarchici e carismatici
Orizzonte trinitario e cristologico dei doni dello Spirito Santo
11. Per poter cogliere le ragioni profonde della relazione tra doni gerarchici e carismatici è opportuno richiamare il suo fondamento teologico. Infatti, la necessità di superare ogni sterile contrapposizione o estrinseca giustapposizione tra doni gerarchici e carismatici, è richiesta dalla stessa economia della salvezza, che comprende la relazione intrinseca tra le missioni del Verbo incarnato e dello Spirito Santo. In realtà, ogni dono del Padre implica il riferimento all’azione congiunta e differenziata delle missioni divine: ogni dono viene dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. Il dono dello Spirito nella Chiesa è legato alla missione del Figlio, compiutasi insuperabilmente nel suo mistero pasquale. Gesù stesso relaziona il compimento della sua missione all’invio dello Spirito nella comunità dei credenti[34]. Per questo lo Spirito Santo non può in alcun modo inaugurare una economia diversa rispetto a quella del Logos divino incarnato, crocifisso e risorto[35]. Infatti, tutta l’economia sacramentale della Chiesa è la realizzazione pneumatologica dell’Incarnazione: perciò lo Spirito Santo viene considerato dalla Tradizione come l’anima della Chiesa, Corpo di Cristo. L’azione di Dio nella storia implica sempre la relazione tra il Figlio e lo Spirito Santo, che Ireneo di Lione chiama suggestivamente «le due mani del Padre»[36]. In tal senso, ogni dono dello Spirito non può che essere in relazione al Verbo fatto carne[37].
Il legame originario tra i doni gerarchici, conferiti con la grazia sacramentale dell’Ordine, e i doni carismatici, liberamente distribuiti dallo Spirito Santo, ha pertanto la sua radice ultima nella relazione tra il Logos divino incarnato e lo Spirito Santo, che è sempre Spirito del Padre e del Figlio. Proprio per evitare visioni teologiche equivoche che postulerebbero una «Chiesa dello Spirito», diversa e separata dalla Chiesa gerarchica-istituzionale, occorre ribadire come le due missioni divine si implichino vicendevolmente in ogni dono elargito alla Chiesa. In realtà, la missione di Gesù Cristo implica, già al suo interno, l’azione dello Spirito. Giovanni Paolo II, nella sua Lettera enciclica sullo Spirito Santo, Dominum et vivificantem, aveva mostrato l’importanza decisiva dell’azione dello Spirito nella missione del Figlio[38]. Benedetto XVI lo ha approfondito nella Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, ricordando che il Paraclito «operante già nella creazione (cf. Gn 1, 2), è pienamente presente in tutta l’esistenza del Verbo incarnato». Gesù Cristo «è concepito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo (cf. Mt 1, 18; Lc 1, 35); all’inizio della sua missione pubblica, sulle rive del Giordano, lo vede scendere su di sé in forma di colomba (cf. Mt 3, 16 e par); in questo stesso Spirito, egli agisce, parla ed esulta (cf. Lc 10, 21); ed è in Lui che Egli può offrire se stesso (cf. Eb 9, 14). Nei cosiddetti “discorsi di addio”, riportati da Giovanni, Gesù mette in chiara relazione il dono della sua vita nel mistero pasquale con il dono dello Spirito ai suoi (cf. Gv 16, 7). Una volta risorto, portando nella sua carne i segni della passione, Egli può effondere lo Spirito (cf. Gv 20, 22), rendendo i suoi discepoli partecipi della sua stessa missione (cf. Gv 20, 21). Sarà poi lo Spirito ad insegnare loro ogni cosa e a ricordare tutto ciò che Cristo ha detto (cf. Gv14, 26), perché spetta a Lui, in quanto Spirito di verità (cf. Gv 15, 26), introdurre i discepoli alla verità tutta intera (cf. Gv 16, 13). Nel racconto degli Atti, lo Spirito discende sugli Apostoli radunati in preghiera con Maria nel giorno di Pentecoste (cf. 2, 1-4), e li anima alla missione di annunciare a tutti i popoli la buona novella»[39].
L’azione dello Spirito Santo nei doni gerarchici e carismatici
12. Rilevare l’orizzonte trinitario e cristologico dei doni divini illumina anche la relazione tra doni gerarchici e carismatici. Infatti, nei doni gerarchici, in quanto legati al sacramento dell’Ordine, appare in primo piano la relazione con l’agire salvifico di Cristo, come ad esempio l’istituzione dell’Eucarestia (cf. Lc 22, 19s; 1 Cor 11, 25), il potere di rimettere i peccati (cf. Gv 20, 22s), il mandato apostolico con il compito di evangelizzare e di battezzare (cf. Mc 16, 15s; Mt 28, 18-20); è altrettanto manifesto che nessun sacramento può essere conferito senza l’azione dello Spirito Santo[40]. D’altra parte i doni carismatici elargiti dallo Spirito, «che soffia dove vuole» (Gv 3, 8) e distribuisce i suoi doni «come vuole» (1 Cor 12, 11), sono obiettivamente in rapporto alla vita nuova in Cristo, in quanto «ciascuno per la sua parte» (1 Cor 12, 27) è membro del suo Corpo. Pertanto, la giusta comprensione dei doni carismatici avviene solo in riferimento alla presenza di Cristo ed al suo servizio; come ha affermato Giovanni Paolo II, «i veri carismi non possono che tendere all’incontro con Cristo nei Sacramenti»[41]. I doni gerarchici e quelli carismatici, dunque, appaiono uniti in riferimento all’intrinseco rapporto tra Gesù Cristo e lo Spirito Santo. Il Paraclito è, contemporaneamente, Colui che diffonde efficacemente, attraverso i Sacramenti, la grazia salvifica offerta da Cristo morto e risorto, e Colui che elargisce i carismi. Nella tradizione liturgica dei cristiani d’Oriente, e specialmente in quella siriaca, il ruolo dello Spirito Santo, rappresentato con l’immagine del fuoco, aiuta a rendere tutto questo assai manifesto. Il grande teologo e poeta Efrem il Siro dice infatti «il fuoco di compassione è sceso e ha preso dimora nel pane»[42], indicando la sua azione trasformante relativa non solo ai doni ma anche riguardo ai credenti che mangeranno il pane eucaristico. La prospettiva orientale, con l’efficacia delle sue immagini, ci aiuta a comprendere come, accostandoci all’Eucarestia, Cristo ci dona lo Spirito. Lo stesso Spirito, poi, per mezzo della sua azione nei credenti, alimenta la vita in Cristo, conducendoli di nuovo a una più profonda vita sacramentale, soprattutto nell’Eucarestia. In tal modo, l’azione libera della Santissima Trinità nella storia raggiunge i credenti con il dono della salvezza ed al contempo li anima perché vi corrispondano liberamente e pienamente con l’impegno della propria vita.
IV. La relazione tra doni gerarchici e carismatici nella vita e nella missione della Chiesa
Nella Chiesa come mistero di comunione
13. La Chiesa si presenta come «un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[43], nel quale la relazione tra doni gerarchici e carismatici appare finalizzata alla piena partecipazione dei fedeli alla comunione e alla missione evangelizzatrice. A questa vita nuova siamo stati gratuitamente predestinati in Cristo (cf. Rm 8, 29-31; Ef 1, 4-5). Lo Spirito Santo «produce questa meravigliosa comunione dei fedeli e li unisce tutti così intimamente in Cristo, da essere il principio dell’unità della Chiesa»[44]. È nella Chiesa, infatti, che gli uomini vengono convocati per divenire membra di Cristo[45] ed è nella comunione ecclesiale che si uniscono in Cristo, come membra gli uni degli altri. Comunione è sempre «una duplice partecipazione vitale: l’incorporazione dei cristiani nella vita di Cristo, e la circolazione della medesima carità in tutta la compagine dei fedeli, in questo mondo e nell’altro. Unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i cristiani, nella Chiesa»[46]. In questo senso il mistero della Chiesa risplende «in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[47]. Qui appare la radice sacramentale della Chiesa come mistero di comunione: «Si tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella parola di Dio e nei Sacramenti. Il Battesimo», in stretta unità con la Confermazione, «è la porta ed il fondamento della comunione nella Chiesa. L’Eucaristia è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana»[48]. Questi sacramenti dell’iniziazione sono costitutivi della vita cristiana e su di essi poggiano i doni gerarchici e carismatici. La vita della comunione ecclesiale, così internamente ordinata, vive nel continuo ascolto religioso della Parola di Dio ed è nutrita dai Sacramenti. La stessa Parola di Dio si presenta a noi profondamente legata ai Sacramenti, in particolare all’Eucaristia[49], all’interno dell’unico orizzonte sacramentale della Rivelazione. La tradizione orientale, vede la Chiesa, Corpo di Cristo animato dallo Spirito Santo, come unità ordinata, la qual cosa si esprime anche a livello dei suoi doni. La presenza efficace dello Spirito nel cuore dei credenti (cf. Rm 5, 5) è la radice di questa unità anche per le manifestazioni carismatiche[50]. I carismi donati ai singoli, infatti, fanno parte della medesima Chiesa e sono destinati ad una più intensa vita ecclesiale. Tale prospettiva appare anche negli scritti di John Henry Newman: «Così il cuore di ogni cristiano dovrebbe rappresentare in miniatura la Chiesa cattolica, poiché un solo Spirito fa l’intera Chiesa e fa di ogni suo membro il suo Tempio»[51]. Ciò rende ancora più evidente il motivo per cui non sono legittime né contrapposizioni, né giustapposizioni tra doni gerarchici e doni carismatici.
In sintesi, la relazione tra i doni carismatici e la struttura sacramentale ecclesiale conferma la coessenzialità tra doni gerarchici – di per sé stabili, permanenti ed irrevocabili – e doni carismatici. Benché questi ultimi nelle loro forme storiche non siano mai garantiti per sempre[52], la dimensione carismatica non può mai mancare alla vita ed alla missione della Chiesa.
Identità dei doni gerarchici
14. In ordine alla santificazione di ogni membro del Popolo di Dio e alla missione della Chiesa nel mondo, tra i diversi doni, «eccelle la grazia degli Apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici»[53]. Gesù Cristo stesso ha voluto che vi fossero doni gerarchici per assicurare la contemporaneità della sua unica mediazione salvifica: «gli Apostoli sono stati riempiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo disceso su di loro (cf. Atti 1, 8; 2, 4; Gv 20, 22-23), ed essi stessi con l’imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro collaboratori (cf. 1 Tim 4, 14; 2 Tim 1, 6-7)»[54]. Pertanto, il conferimento dei doni gerarchici deve essere fatto risalire innanzitutto alla pienezza del sacramento dell’Ordine, data con la consacrazione episcopale, che comunica «coll’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare, i quali però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio»[55]. Per questo, «nella persona dei vescovi, assistiti dai sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo […]; per mezzo dell’eccelso loro ministero, predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i Sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno (cf. 1 Cor 4, 15) integra nuove membra al suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine»[56]. La tradizione cristiana orientale, così vivamente legata ai Padri, legge tutto ciò nella sua peculiare concezione della taxis. Secondo Basilio Magno, è evidente che l’ordinamento della Chiesa è opera dello Spirito Santo, e lo stesso ordine (taxis) in cui Paolo elenca i carismi (cf. 1 Cor 12, 28) «è secondo la ripartizione dei doni dello Spirito»[57], indicando come primo quello degli Apostoli. A partire dal riferimento alla consacrazione episcopale, si comprendono anche i doni gerarchici in riferimento agli altri gradi dell’Ordine; innanzitutto quelli dei presbiteri, che sono «consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino» e «sotto l’autorità del vescovo, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata» e, diventando a loro volta «modelli del gregge, presiedano e servano alla loro comunità locale»[58]. Per i vescovi e i presbiteri, nel sacramento dell’Ordine, l’unzione sacerdotale «li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in persona di Cristo Capo»[59]. Ad essi si devono aggiungere i doni dati ai diaconi, «ai quali sono state imposte le mani non per il sacerdozio ma per il ministero»; e che «sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità servono il Popolo di Dio, in comunione con il vescovo e con i suoi sacerdoti»[60]. In sintesi, i doni gerarchici propri del sacramento dell’Ordine, nei suoi diversi gradi, sono dati affinché nella Chiesa come comunione non manchino mai ad ogni fedele l’offerta obiettiva della grazia nei Sacramenti, l’annuncio normativo della Parola di Dio e la cura pastorale.
Identità dei doni carismatici
15. Se dall’esercizio dei doni gerarchici è assicurata, lungo la storia, l’offerta della grazia di Cristo in favore dell’intero Popolo di Dio, tutti i fedeli sono chiamati ad accoglierla e a corrispondervi personalmente nelle circostanze concrete della propria vita. I doni carismatici, pertanto, sono distribuiti liberamente dallo Spirito Santo affinché la grazia sacramentale porti frutto nella vita cristiana in modo diversificato e a tutti i suoi livelli. Essendo questi carismi «soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi»[61], attraverso la loro multiforme ricchezza il Popolo di Dio può vivere in pienezza la missione evangelizzatrice, scrutando i segni dei tempi ed interpretandoli alla luce del Vangelo[62]. I doni carismatici, infatti, muovono i fedeli a rispondere, in piena libertà e in modo adeguato ai tempi, al dono della salvezza, facendo di se stessi un dono d’amore per gli altri e una testimonianza autentica del Vangelo di fronte a tutti gli uomini.
I doni carismatici condivisi
16. In questo contesto è utile ricordare quanto diversi possano essere i doni carismatici fra loro, non solo a motivo dei loro caratteri specifici ma anche per la loro estensione nella comunione ecclesiale. I doni carismatici «sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri e in tal modo vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le persone»[63]. La relazione tra il carattere personale del carisma e la possibilità di parteciparvi esprime un elemento decisivo della sua dinamica, in quanto riguarda il rapporto che nella comunione ecclesiale lega sempre la persona e la comunità[64]. I doni carismatici nella loro pratica possono generare affinità, prossimità e parentele spirituali attraverso le quali il patrimonio carismatico, a partire dalla persona del fondatore, viene partecipato ed approfondito, dando vita a vere e proprie famiglie spirituali. Le aggregazioni ecclesiali, nelle loro diverse forme, si presentano come doni carismatici condivisi. Movimenti ecclesiali e nuove comunità mostrano come un determinato carisma originario possa aggregare dei fedeli ed aiutarli a vivere pienamente la propria vocazione cristiana e il proprio stato di vita al servizio della missione ecclesiale. Le forme concrete e storiche di tale condivisione possono essere in sé differenziate; motivo per cui da un carisma originario, fondazionale, si possono dare, come mostra la storia della spiritualità, diverse fondazioni.
Il riconoscimento da parte dell’autorità ecclesiastica
17. Tra i doni carismatici, liberamente distribuiti dallo Spirito, ve ne sono moltissimi accolti e vissuti dalla persona all’interno della comunità cristiana che non necessitano di particolari regolamentazioni. Quando un dono carismatico, invece, si presenta come «carisma originario» o «fondazionale», allora esso ha bisogno di un riconoscimento specifico, perché tale ricchezza si articoli adeguatamente nella comunione ecclesiale e si trasmetta fedelmente nel tempo. Qui emerge il decisivo compito di discernimento che è di pertinenza dell’autorità ecclesiastica[65]. Riconoscere l’autenticità del carisma non è sempre un compito facile, ma è un servizio doveroso che i Pastori sono tenuti ad effettuare. I fedeli, infatti, hanno il «diritto di essere avvertiti dai Pastori sulla autenticità dei carismi e sulla affidabilità di coloro che si presentano come loro portatori»[66]. L’autorità dovrà, a tale scopo, essere consapevole della effettiva imprevedibilità dei carismi suscitati dallo Spirito Santo, valorizzandoli secondo la regola della fede in vista della edificazione della Chiesa[67]. Si tratta di un processo che si protrae nel tempo e che richiede passaggi adeguati per la loro autenticazione, passando attraverso un serio discernimento fino al riconoscimento ecclesiale della loro genuinità. La realtà aggregativa che sorge da un carisma deve avere opportunamente un tempo di sperimentazione e di sedimentazione, che vada oltre l’entusiasmo degli inizi verso una configurazione stabile. In tutto l’itinerario di verifica, l’autorità della Chiesa deve accompagnare benevolmente la nuova realtà aggregativa. Si tratta di un accompagnamento da parte dei Pastori che non verrà mai meno, poiché non viene mai meno la paternità di coloro che nella Chiesa sono chiamati a essere i vicari di Colui che è il Buon Pastore, il cui amore sollecito non smette mai di accompagnare il suo gregge.
Criteri per il discernimento dei doni carismatici
18. In questo quadro possono essere richiamati alcuni criteri per il discernimento dei doni carismatici in riferimento alle aggregazioni ecclesiali che il Magistero della Chiesa ha messo in evidenza lungo gli ultimi anni. Tali criteri hanno lo scopo di aiutare il riconoscimento di un’autentica ecclesialità dei carismi.
a) Primato della vocazione di ogni cristiano alla santità. Ogni realtà che nasce dalla partecipazione di un carisma autentico deve essere sempre strumento di santità nella Chiesa e, dunque, di incremento della carità e di autentica tensione verso la perfezione dell’amore[68].
b) Impegno alla diffusione missionaria del Vangelo. Le realtà carismatiche autentiche sono «regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove si incanalano in una spinta evangelizzatrice»[69]. In tal modo, esse devono realizzare «la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa», manifestando un chiaro «slancio missionario che rende sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione»[70].
c) Confessione della fede cattolica. Ogni realtà carismatica deve essere luogo di educazione alla fede nella sua integralità, «accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta»[71]; pertanto si dovrà evitare di avventurarsi «oltre (proagon) la dottrina e la comunità ecclesiale»; infatti se «non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cf.2 Gv9)»[72].
d) Testimonianza di una comunione fattiva con tutta la Chiesa. Questo comporta una «relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell’unità della Chiesa universale, e con il vescovo “principio visibile e fondamento dell’unità” della Chiesa particolare»[73]. Ciò implica la «leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali»[74], come anche «la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l’impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani»[75].
e) Riconoscimento e stima della reciproca complementarietà di altre componenti carismatiche nella Chiesa. Ne deriva anche una disponibilità alla reciproca collaborazione[76]. Infatti, «un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti. Un’autentica novità suscitata dallo Spirito non ha bisogno di gettare ombre sopra altre spiritualità e doni per affermare se stessa»[77].
f) Accettazione dei momenti di prova nel discernimento dei carismi. Poiché il dono carismatico può possedere «una carica di novità di vita spirituale per tutta la Chiesa, che può apparire in un primo tempo anche incomoda», un criterio di autenticità si manifesta nella «umiltà nel sopportare i contrattempi: il giusto rapporto fra carisma genuino, prospettiva di novità e sofferenza interiore comporta una costante storica di connessione tra carisma e croce»[78]. La nascita di eventuali tensioni esige da parte di tutti la prassi di una carità più grande, in vista di una comunione e di un’unità ecclesiali sempre più profonde.
g) Presenza di frutti spirituali quali carità, gioia, pace e umanità (cf. Gal 5, 22); il «vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa»[79], un più intenso zelo per «l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio»[80]; «il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l’animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata»[81].
h) Dimensione sociale dell’evangelizzazione. Occorre riconoscere che, grazie all’impulso della carità, «il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri»[82]. In questo criterio di discernimento, riferito non esclusivamente alle realtà laicali nella Chiesa, si sottolinea la necessità di essere «correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all’interno della società»[83]. Significativi sono, a tal riguardo, «l’impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti»[84]. Decisivo è anche il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa[85]. In particolare «dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società»[86], che non può mancare in una autentica realtà ecclesiale.
V. La pratica ecclesiale della relazione tra doni gerarchici e doni carismatici
19. È necessario affrontare, da ultimo, alcuni elementi della concreta pratica ecclesiale circa la relazione tra doni gerarchici e quei doni carismatici che si configurano come aggregazioni carismatiche all’interno della comunione ecclesiale.
Vicendevole riferimento
20. Innanzitutto la pratica della buona relazione tra i diversi doni nella Chiesa richiede la fattiva inserzione delle realtà carismatiche nella vita pastorale delle Chiese particolari. Ciò comporta, innanzitutto, che le diverse aggregazioni riconoscano l’autorità dei pastori nella Chiesa come realtà interna alla propria vita cristiana, desiderando sinceramente di esserne riconosciuti, accolti ed eventualmente purificati, mettendosi al servizio della missione ecclesiale. Dall’altra parte, coloro che sono insigniti dei doni gerarchici, effettuando il discernimento e l’accompagnamento dei carismi, devono cordialmente accogliere ciò che lo Spirito suscita all’interno della comunione ecclesiale, tenendone conto nell’azione pastorale e valorizzando il loro contributo come un’autentica risorsa per il bene di tutti.
I doni carismatici nella Chiesa universale e particolare
21. Relativamente alla diffusione e alla peculiarità delle realtà carismatiche si dovrà tenere conto della imprescindibile e costitutiva relazione tra Chiesa universale e Chiese particolari. Occorre a questo proposito ribadire che la Chiesa di Cristo, come professiamo nel Simbolo apostolico, «è la Chiesa universale, vale a dire l’universale comunità dei discepoli del Signore, che si fa presente ed operante nella particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi»[87]. La dimensione particolare è, pertanto, intrinseca a quella universale e viceversa; vi è infatti fra Chiese particolari e Chiesa universale un rapporto di «mutua interiorità»[88]. I doni gerarchici propri del Successore di Pietro si esercitano, in questo contesto, nel garantire e nel favorire l’immanenza della Chiesa universale nelle Chiese locali; come del resto l’ufficio apostolico dei singoli vescovi non rimane confinato nella propria diocesi ma è chiamato a rifluire nella Chiesa tutta, anche attraverso la collegialità affettiva ed effettiva e soprattutto attraverso la comunione con quel centrum unitatis Ecclesiae che è il Romano Pontefice. Egli, infatti, come «successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. I vescovi, invece, singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell’unità nelle loro Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire delle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica»[89]. Ciò implica che in ogni Chiesa particolare «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica»[90]. Pertanto, il riferimento all’autorità del Successore di Pietro – la comunione cum Petro et sub Petro– è costitutivo di ogni Chiesa locale[91].
In tal modo, sono poste le basi per relazionare doni gerarchici e carismatici all’interno del rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari. Infatti, da una parte, i doni carismatici sono dati a tutta la Chiesa; dall’altra, la dinamica di questi doni non può che realizzarsi nel servizio ad una concreta diocesi, la quale è «una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure pastorali del vescovo coadiuvato dal suo presbiterio»[92]. A questo proposito, può essere utile ricordare il caso della vita consacrata; essa, infatti, non è una realtà esterna o indipendente dalla vita della Chiesa locale, ma costituisce un modo peculiare, segnato dal radicalismo evangelico, di essere presente al suo interno, con i suoi doni specifici. Il tradizionale istituto della “esenzione”, legato a non pochi istituti di vita consacrata[93], ha come significato non una sovralocalità disincarnata o una autonomia male intesa, bensì un’interazione più profonda tra la dimensione universale e quella particolare della Chiesa[94]. Analogamente, le nuove realtà carismatiche, quando possiedono carattere sovra-diocesano, non devono concepirsi in modo del tutto autonomo rispetto alla Chiesa particolare; piuttosto la devono arricchire e servire in forza delle proprie peculiarità condivise oltre i confini di una singola diocesi.
I doni carismatici e gli stati di vita del cristiano
22. I doni carismatici elargiti dallo Spirito Santo possono essere relazionati con l’intero ordine della comunione ecclesiale, sia in riferimento ai Sacramenti che alla Parola di Dio. Essi, a seconda delle loro diverse peculiarità, consentono di portare molto frutto nello svolgimento di quei compiti che scaturiscono dal Battesimo, dalla Cresima, dal Matrimonio e dall’Ordine, come anche di rendere possibile una maggiore comprensione spirituale della Tradizione apostolica; la quale, oltre che con lo studio e con la predicazione di coloro che sono insigniti del charisma veritatis certum[95], può essere approfondita con «l’intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali»[96]. In questa prospettiva è utile elencare le questioni fondamentali circa le relazioni tra doni carismatici e i differenti stati di vita, con particolare riferimento al sacerdozio comune del Popolo di Dio e al sacerdozio gerarchico, i quali «quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo»[97]. Infatti, si tratta di «due modi di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, nel quale sono presenti due dimensioni, che si uniscono nell’atto supremo del sacrificio della croce»[98].
a) In primo luogo occorre riconoscere la bontà dei diversi carismi che originano aggregazioni ecclesiali tra tutti i fedeli, chiamati a far fruttificare la grazia sacramentale, sotto la guida dei legittimi pastori. Essi rappresentano un’autentica possibilità per vivere e sviluppare la propria vocazione cristiana[99]. Questi doni carismatici permettono ai fedeli di vivere nell’esistenza quotidiana il sacerdozio comune del Popolo di Dio: come «discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cf. At 2, 42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cf. Rm 12, 1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in essi di una vita eterna (cf. 1 Pt 3, 15)»[100]. In questa linea si collocano anche quelle aggregazioni ecclesiali che risultano essere particolarmente significative per la vita cristiana nel matrimonio, le quali possono validamente «sostenere con la dottrina e con l’azione i giovani e gli stessi sposi, particolarmente le nuove famiglie, ed a formarli alla vita familiare, sociale ed apostolica»[101].
b) Anche i ministri ordinati potranno trovare nella partecipazione ad una realtà carismatica, sia il richiamo al senso del proprio Battesimo, con il quale sono divenuti figli di Dio, sia alla loro vocazione e missione specifica. Un fedele ordinato potrà trovare in una determinata aggregazione ecclesiale forza ed aiuto per vivere fino in fondo quanto gli è richiesto dal suo ministero specifico, sia nei confronti di tutto il Popolo di Dio, ed in particolare della porzione che gli viene affidata, sia in riferimento alla obbedienza sincera dovuta al proprio Ordinario[102]. Discorso analogo vale anche nel caso di candidati al sacerdozio che provenissero da una determinata aggregazione ecclesiale, come affermato dall’Esortazione post-sinodale Pastores dabo vobis[103]; una tale relazione dovrà esprimersi nella sua fattiva docilità alla propria formazione specifica, portandovi la ricchezza proveniente dal carisma di riferimento. Infine, l’aiuto pastorale che il sacerdote potrà offrire all’aggregazione ecclesiale, secondo le caratteristiche del movimento stesso, potrà avvenire osservando sempre il regimen previsto nella comunione ecclesiale per l’Ordine sacro in riferimento all’incardinazione[104] e all’obbedienza dovuta al proprio Ordinario[105].
c) Il contributo di un dono carismatico al sacerdozio battesimale e al sacerdozio ministeriale è emblematicamente espresso dalla vita consacrata; essa, come tale, si colloca nella dimensione carismatica della Chiesa[106]. Tale carisma, che realizza «la speciale conformazione a Cristo vergine, povero, obbediente»[107] come forma stabile di vita[108] mediante la professione dei consigli evangelici, viene elargito per «poter raccogliere più copiosi frutti dalla grazia battesimale»[109]. La spiritualità degli Istituti di vita consacrata può diventare, sia per il fedele laico che per il presbitero, una significativa risorsa per vivere la propria vocazione. Inoltre, non di rado, membri di vita consacrata, con il necessario assenso del proprio superiore[110], possono trovare nel rapporto con le nuove aggregazioni un importante sostegno per vivere la propria vocazione specifica ed offrire, a propria volta, una «testimonianza gioiosa, fedele e carismatica della vita consacrata», permettendo così un «reciproco arricchimento»[111].
d) Infine, è significativo che lo spirito dei consigli evangelici venga raccomandato dal Magistero anche ad ogni ministro ordinato[112]. Anche il celibato, richiesto ai presbiteri nella venerabile tradizione latina[113], è chiaramente nella linea del dono carismatico; esso non è primariamente funzionale, ma «rappresenta una speciale conformazione allo stile di vita di Cristo stesso»[114], in cui si realizza la piena dedizione di sé in riferimento alla missione conferita mediante il sacramento dell’Ordine[115].
Forme di riconoscimento ecclesiale
23. Il presente documento intende chiarire la collocazione teologica ed ecclesiologica delle nuove aggregazioni ecclesiali a partire dalla relazione tra doni gerarchici e doni carismatici, così da favorire l’individuazione concreta delle modalità più adeguate per il riconoscimento ecclesiale di questi ultimi. L’attuale Codice di Diritto Canonico prevede diverse forme giuridiche di riconoscimento per le nuove realtà ecclesiali che si riferiscono a doni carismatici. Tali forme dovranno essere considerate attentamente[116], evitando fattispecie che non tengano in adeguata considerazione sia i principi fondamentali del diritto che la natura e le peculiarità delle diverse realtà carismatiche.
Dal punto di vista della relazione tra doni gerarchici e carismatici è necessario rispettare due criteri fondamentali che devono essere inseparabilmente considerati: a) il rispetto della peculiarità carismatica delle singole aggregazioni ecclesiali, evitando forzature giuridiche che mortifichino la novità di cui l’esperienza specifica è portatrice. In tal modo si eviterà che i vari carismi possano essere considerati come risorsa indifferenziata all’interno della Chiesa. b) Il rispetto del regimen ecclesiale fondamentale, favorendo l’inserimento fattivo dei doni carismatici nella vita della Chiesa universale e particolare, evitando che la realtà carismatica si concepisca parallelamente alla vita ecclesiale e non in un ordinato riferimento ai doni gerarchici.
Conclusione
24. Attendendo l’effusione dello Spirito Santo, i primi discepoli erano assidui e concordi nella preghiera insieme con Maria, la madre di Gesù (cf. At 1, 14). Ella è stata perfetta nell’accogliere e mettere a frutto le grazie singolari di cui è stata arricchita in misura sovrabbondante dalla Santissima Trinità; prima fra tutte, la grazia di essere la Madre di Dio. Tutti i figli della Chiesa possono ammirare la sua piena docilità all’azione dello Spirito Santo; docilità nella fede senza incrinature e nella limpida umiltà. Maria dunque testimonia in pienezza l’obbediente e fedele accoglienza di ogni dono dello Spirito. Inoltre, come insegna il Concilio Vaticano II, la Vergine Maria «nella sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora pellegrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata»[117]. Poiché Ella «si è lasciata condurre dallo Spirito, attraverso un itinerario di fede, verso un destino di servizio e fecondità», anche noi «oggi fissiamo lo sguardo su di lei, perché ci aiuti ad annunciare a tutti il messaggio di salvezza, e perché i nuovi discepoli diventino operosi evangelizzatori»[118]. Per tale motivo, Maria è riconosciuta come Madre della Chiesa ed a Lei ricorriamo pieni di fiducia affinché, col suo efficace aiuto e con la sua potente intercessione, i carismi abbondantemente distribuiti dallo Spirito Santo tra i fedeli siano da questi docilmente accolti e messi a frutto per la vita e la missione della Chiesa e per il bene del mondo.
Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa il giorno 14 marzo 2016 al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha approvato la presente Lettera, decisa nella Sessione Plenaria di questo Dicastero, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Dato a Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 15 maggio 2016, Solennità di Pentecoste.
Gerhard Card. Müller + Luis F. Ladaria, S.I.
Prefetto Arcivescovo Titolare di Thibica Segretario
[1] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 4.
[2] Giovanni Crisostomo, Homilia de Pentecoste, II, 1: PG 50, 464.
[3] Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 49: AAS 105 (2013), 1040.
[7] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 19.
[8] Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, n. 14: AAS 105 (2013), 1026; cf. Benedetto XVI, Omelia nella Santa Messa di inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi presso il Santuario “La Aparecida” (13 maggio 2007): AAS 99 (2007), 43.
[9] Giovanni Paolo II, Discorso agli appartenenti ai Movimenti ecclesiali e alle nuove Comunità nella vigilia di Pentecoste (30 maggio 1998), n. 7: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998), 1123.
[10] Ibid., n. 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998), 1122.
[11]Ibid., n. 8: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998), 1124.
[12] «C’è varietà di charísmata» (1 Cor 12, 4); «siamo in possesso di charísmata differenti» (Rm 12, 6); «ciascuno ha il proprio chárisma da Dio, chi in un modo, chi in un altro» (1 Cor 7, 7).
[13] In greco le due parole (chárisma e cháris) appartengono alla stessa radice.
[14] Cf. Origene, De principiis, I, 3, 7; PG 11, 153: «quello che è detto dono dello Spirito è trasmesso per opera del Figlio e prodotto per opera del Padre».
[15] Basilio di Cesarea, Regulae fusius Tractae, 7, 2: PG 31, 933-934.
[16] «Chi parla in lingue edifica se stesso, mentre chi profetizza edifica l’assemblea» (1 Cor 14, 4). L’Apostolo non disprezza il dono della glossolalia, carisma di preghiera utile per la relazione personale con Dio, e lo riconosce come un autentico carisma, benché non abbia direttamente una utilità comune: «Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue molto più di tutti voi; ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue» (1 Cor 14, 18-19).
[17] Cf. 1 Cor 12, 28: «Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come Apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i poteri miracolosi, poi i carismi di guarigione, di assistenza, di governo, di varietà delle lingue».
[18] Nei raduni comunitari, la sovrabbondanza delle manifestazioni carismatiche può creare dei disagi, producendo un’atmosfera di rivalità, disordine e confusione. I cristiani meno dotati rischiano di avere un complesso di inferiorità (cf. 1 Cor 12, 15-16); mentre i grandi carismatici potrebbero esser tentati dall’assumere atteggiamenti di superbia e di disprezzo (cf. 1 Cor 12, 21).
[19] Se nell’assemblea non si trova nessuno in grado di dare una interpretazione delle parole misteriose di chi parla in lingue, Paolo ingiunge a questi di tacere. Se c’è un interprete, l’Apostolo consente che due, o al massimo tre, parlino in lingue (cf. 1 Cor 14, 27-28).
[20] Paolo non accetta l’idea di un’ispirazione profetica incontenibile; egli afferma invece che «le ispirazioni dei profeti sono sottomesse ai profeti, perché Dio non è Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14, 32-33). Egli afferma che «chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto scrivo è comando del Signore; se qualcuno lo ignora, è ignorato» (1 Cor 14, 37-38). Conclude però in modo positivo, invitando ad aspirare alla profezia e a non impedire il parlare in lingue (cf. 1 Cor14, 39).
[21] Cf. Pio XII, Lett. enc. Mystici corporis (29 giugno 1943): AAS 35 (1943), 206-230.
[22] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 4, 7, 11, 12, 25, 30, 50; Cost. dogm. Dei Verbum, n. 8; Decr.Apostolicam actuositatem, nn. 3, 4, 30; Decr. Presbyterorum ordinis, nn. 4, 9.
[23] Id., Cost. dogm. Lumen gentium, n. 4.
[24] Ibid., n. 12.
[25] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 3: «Per l’esercizio di tale apostolato lo Spirito Santo che già santifica il Popolo di Dio per mezzo del Ministero e dei Sacramenti, elargisce ai fedeli anche dei doni particolari (1 Cor 12, 7) “distribuendoli a ciascuno come vuole” (1 Cor 12, 11), affinché mettendo “ciascuno a servizio degli altri il suo dono al fine per cui l’ha ricevuto, contribuiscano anch’essi come buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio” (1 Pt 4,10) alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cf. Ef 4,16)».
[26] Ibid.
[27] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 12: «Il giudizio sulla loro genuinità e sul loro uso ordinato appartiene a coloro che detengono l’autorità nella Chiesa; ad essi spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1 Ts 5,12 e 19-21)». Sebbene riferito immediatamente al discernimento dei doni straordinari, per analogia, quanto ivi affermato vale per ogni carisma in genere.
[28] Cf. ad es. Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), n. 58: AAS 68 (1976), 46-49; Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari – Congregazione per i Vescovi, Note direttive Mutuae relationes (14 maggio 1978): AAS 70 (1978), 473-506; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles Laici (30 dicembre 1988): AAS 81 (1989), 393-521; Esort. apost. Vita consecrata(25 marzo 1996): AAS 88 (1996), 377-486.
[29] Emblematica è l’affermazione del sopramenzionato documento interdicasteriale Mutuae relationes, in cui si ricorda che «grave errore sarebbe rendere indipendenti – e assai più grave quello di opporle tra loro – la vita religiosa e le strutture ecclesiali, quasi potessero sussistere come due realtà distinte, l’una carismatica, l’altra istituzionale; mentre ambedue gli elementi, cioè i doni spirituali e le strutture ecclesiali, formano un’unica, anche se complessa, realtà» (n. 34).
[30] Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici (27 maggio 1998), n. 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998), 1065; cf. anche Id., Messaggio ai movimenti ecclesiali riuniti per il II Colloquio internazionale (2 Marzo 1987): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 1 (1987), 476-479.
[31] Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Pellegrinaggio promosso dalla fraternità di Comunione e Liberazione in occasione del XXV Anniversario del Riconoscimento Pontificio (24 marzo 2007): Insegnamenti di Benedetto XVI, III, 1 (2007), 558.
[32] «Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dell’azione dello Spirito Santo; l’ecclesialità è una caratteristica fondamentale per ogni cristiano, per ogni comunità, per ogni movimento»: Francesco,Omelia nella Solennità di Pentecoste con i Movimenti, le Nuove Comunità, le Associazioni e le Aggregazioni laicali (19 maggio 2013): Insegnamenti di Francesco, I, 1 (2013), 208.
[33] Id., Udienza Generale (1 ottobre 2014): L’Osservatore Romano (2 ottobre 2014), 8.
[34] Cf. Gv 7, 39; 14, 26; 15, 26; 20, 22.
[35] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus (6 agosto 2000), nn. 9-12: AAS 92 (2000), 749-754.
[36] Ireneo di Lione, Adversus haereses, IV, 7, 4: PG 7, 992-993; V, 1, 3: PG 7, 1123; V, 6, 1: PG 7, 1137; V, 28, 4: PG 7, 1200.
[37] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 12: AAS 92 (2000), 752-754.
[38] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), n. 50: AAS 78 (1986), 869-870; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 727-730.
[39]Benedetto XVI, Esort. apost. Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), n. 12: AAS 99 (2007), 114.
[40] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1104-1107.
[41] Giovanni Paolo II, Discorso agli appartenenti ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità nella vigilia di Pentecoste (30 maggio 1998), n. 7: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998), 1123.
[42] Efrem il Siro, Inni sulla fede, 10, 12: CSCO 154, 50.
[43]Cipriano di Cartagine, De oratione dominica,23: PL 4, 553; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 4.
[44] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 2.
[45] Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Dich. Dominus Iesus, n. 16: AAS 92 (2000), 757: «la pienezza del mistero salvifico di Cristo appartiene anche alla Chiesa, inseparabilmente unita al suo Signore».
[46] Paolo VI, Allocuzione del mercoledì (8 giugno 1966): Insegnamenti di Paolo VI, IV (1966), 794.
[47] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 1.
[48] II Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo Dei Vescovi, Ecclesia sub Verbo mysteria Christi celebrans pro salute mundi. Relatio finalis (7 dicembre 1985), II, C, 1: Enchiridion Vaticanum, 9, 1800; cf. Congregazione per la dottrina della fede, Lett.Communionis notio (28 maggio 1992), nn. 4-5: AAS 85 (1993), 839-841.
[49] Cf. Benedetto XVI, Esort. apost. Verbum Domini (30 settembre 2010), n. 54: AAS 102 (2010), 733-734; Francesco, Esort. apost.Evangelii gaudium, n. 174: AAS 105 (2013), 1092-1093.
[50] Cf. Basilio di Cesarea, De Spiritu Sancto, 26: PG 32, 181.
[51] J.H. Newman, Sermons Bearing on Subjects of the Day, London 1869, 132.
[52] Cf. quanto affermato paradigmaticamente per la vita consacrata da Giovanni Paolo II, Udienza generale (28 Settembre 1994), n. 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII, 2 (1994), 404-405.
[53] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 7.
[54] Ibid., n. 21.
[55] Ibid.
[56] Ibid.
[57] Basilio di Cesarea, De Spiritu Sancto, 16, 38: PG 32, 137.
[58] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 28.
[59] Id., Decr. Presbyterorum ordinis, n. 2.
[60] Id, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 29.
[61] Ibid., n. 12.
[62] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, nn. 4, 11.
[63] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 24: AAS 81 (1989), 434.
[64] Cf. ibid., n. 29: AAS 81 (1989), 443-446.
[65] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 12.
[66] Giovanni Paolo II, Udienza generale (9 marzo 1994), n. 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII, 1 (1994), 641.
[67] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 799s; Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari – Congregazione per i Vescovi,Note direttive Mutuae relationes, n. 51: AAS 70 (1978), 499-500; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Vita consecrata, n. 48: AAS 88 (1996), 421-422; Id, Udienza generale (24 giugno 1992), n. 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV, 1 (1992), 1935-1936.
[68] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 39-42; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 30: AAS 81 (1989), 446.
[69] Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, n. 130: AAS 105 (2013), 1074.
[70] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 30: AAS 81 (1989), 447; cf. Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, n. 58: AAS 68 (1976), 49.
[71] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 30: AAS 81 (1989), 446-447.
[72] Francesco, Omelia nella Solennità di Pentecoste con i Movimenti, le Nuove Comunità, le Associazioni e le Aggregazioni laicali (19 maggio 2013): Insegnamenti di Francesco, I, 1 (2013), 208.
[73] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 30: AAS 81 (1989), 447; cf. Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, n. 58: AAS 68 (1976), 48.
[74] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 30: AAS 81 (1989), 447.
[75] Ibid.: AAS 81 (1989), 448.
[76] Cf. ibid.: AAS 81 (1989), 447.
[77] Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, n. 130: AAS 105 (2013), 1074-1075.
[78] Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari – Congregazione per i Vescovi, Note direttive Mutuae relationes, n. 12: AAS 70 (1978), 480-481; cf. Giovanni Paolo II, Discorso agli appartenenti ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità nella vigilia di Pentecoste (30 Maggio 1998), n. 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998), 1122.
[79] Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, n. 58: AAS 68 (1976), 48.
[80] Ibid.; cf. Francesco, Esort. Apost. Evangelii gaudium, nn. 174-175: AAS 105 (2013), 1092-1093.
[81] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 30: AAS 81 (1989), 448.
[82] Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, n. 177: AAS 105 (2013), 1094.
[83] [83] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 30: AAS 81 (1989), 448.
[84] Ibid.
[85] Cf. Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, nn. 184, 221: AAS 105 (2013), 1097, 1110-1111.
[86] Ibid., n. 186: AAS 105 (2013), 1098.
[87] Congregazione per la dottrina della fede, Lett. Communionis notio, n. 7: AAS 85 (1993), 842.
[88] Ibid., n. 9: AAS 85 (1993), 843.
[89] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23.
[90] Id., Decr. Christus Dominus, n. 11.
[91] Cf. Ibid., n. 2; Congregazione per la dottrina della fede, Lett. Communionis notio, nn. 13-14, 16: AAS 85 (1993), 846-848.
[92] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Christus Dominus, n. 11.
[93] Cf. Ibid., n. 35; Codice di Diritto Canonico, can. 591; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 412, § 2; Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari – Congregazione per i Vescovi, Note direttive Mutuae relationes, n. 22: AAS 70 (1978), 487.
[94] Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Lett. Communionis notio, n. 15: AAS 85 (1993), 847.
[95] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 8; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 888-892.
[96] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 8.
[97] Id., Cost. dogm. Lumen gentium, n. 10.
[98] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Pastores gregis (16 ottobre 2003), n. 10: AAS 96 (2004), 838.
[99] Cf. Id., Esort. apost. Christifideles laici, n. 29: AAS 81 (1989), 443-446.
[100] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 10.
[101] Id., Cost. past. Gaudium et spes, n. 52; cf. Giovanni Paolo II, Esort. apost. Familiaris consortio (22 novembre 1981), n. 72: AAS74 (1982), 169-170.
[102] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. apost. Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n. 68: AAS 84 (1992), 777.
[103] Cf. ibid., nn. 31, 68: AAS 84 (1992), 708-709, 775-777.
[104] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 265; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 357, § 1.
[105] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 273; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 370.
[106] Cf. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari – Congregazione per i Vescovi, Note direttive Mutuae relationes, nn. 19, 34: AAS 70 (1978), 485-486, 493.
[107] Giovanni Paolo II, Esort. apost. Vita consecrata, n. 31: AAS 88 (1996), 404-405.
[108] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 43.
[109] Ibid., n. 44; cf. Decr. Perfectae caritatis, n. 5; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Vita consecrata, nn. 14, 30: AAS 88 (1996), 387-388, 403-404.
[110] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 307, § 3; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 578, § 3.
[111] Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le società di vita apostolica, Istr. Ripartire da Cristo (19 maggio 2002), n. 30: Enchiridion Vaticanum, 21, 472.
[112] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. apost. Pastores dabo vobis, nn. 27-30: AAS 84 (1992), 700-707.
[113] Cf. Paolo VI, Lett. enc. Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967): AAS 59 (1967), 657-697.
[114] Benedetto XVI, Esort. apost. Sacramentum caritatis, n. 24: AAS 99 (2007), 124.
[115]Cf. Giovanni Paolo II, Esort. apost. Pastores dabo vobis, n. 29:AAS 84 (1992), 703-705;Conc. Ecum. Vat. II, Decr.Presbyterorum ordinis, n. 16.
[116] La forma giuridica più semplice per il riconoscimento delle realtà ecclesiali di natura carismatica appare a tutt’oggi quella della Associazione privata di fedeli (cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 321 – 326; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 573, § 2 – 583). Tuttavia è bene considerare attentamente anche le altre forme giuridiche con le proprie caratteristiche specifiche, come ad esempio le Associazioni pubbliche di fedeli (cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 312 – 320; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 573, § 1 – 583), le Associazioni di fedeli clericali (cf. Codice di Diritto Canonico, can. 302), gli Istituti di vita consacrata (cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 573 – 730; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 410-571), le Società di vita apostolica (cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 731 – 746; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 572) e le Prelature personali (cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 294 – 297).
[117] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 62.
[118] Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, n. 287: AAS 105 (2013), 1136.