AGENZIA ZENIT. È uno dei filoni portanti della nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis promulgata oggi dalla Congregazione per il Clero, nella solennità dell’Immacolata Concezione, a distanza di 46 anni dall’ultima. Il testo – viene distribuito in allegato all’edizione odierna de L’Osservatore Romano – rappresenta uno strumento efficace e aggiornato per la “formazione integrale” del prete: una formazione “capace, cioè, di unire in modo equilibrato la dimensione umana, quella spirituale, quella intellettuale e quella pastorale, attraverso un cammino pedagogico graduale e personalizzato”, come spiega in una intervista al quotidiano vaticano il cardinale prefetto Beniamino Stella.
In questi mutati contesti storici, che hanno provocato significativi cambiamenti nell’immagine o visione del prete, nei bisogni spirituali del popolo di Dio, nelle sfide della nuova evangelizzazione, nei linguaggi della comunicazione, “ci è sembrato che la formazione dei sacerdoti avesse bisogno di essere rilanciata, rinnovata e rimessa al centro”, ha spiegato il porporato.
“Siamo stati incoraggiati e illuminati dal magistero di Papa Francesco, con la spiritualità e la profezia che contraddistinguono la sua parola. Il Pontefice si è rivolto spesso ai sacerdoti, ricordando loro che il prete non è un funzionario, ma un pastore unto per il popolo di Dio, che ha il cuore compassionevole e misericordioso di Cristo per le folle affaticate e stanche. Le parole e gli ammonimenti del Papa, alcuni dei quali riguardanti le tentazioni legate al denaro, all’esercizio autoritario del potere, alla rigidità legalista o alla vanagloria, ci mostrano come la cura dei sacerdoti e della loro formazione sia un aspetto fondamentale nell’azione ecclesiale di questo pontificato e debba diventarlo sempre di più per ogni vescovo e ogni Chiesa locale”.
La nuova Ratio fundamentalis ha dunque ripreso contenuti, metodi e orientamenti prodotti finora nel campo della formazione, aggiornandoli e introducendo elementi nuovi. Nel documento – spiega Stella – rientrano le indicazioni offerte dalla Pastores dabo vobis, del 1992, circa una formazione integrale, capace cioè di unire in modo equilibrato la dimensione umana, quella spirituale, quella intellettuale e quella pastorale, attraverso un cammino pedagogico graduale e personalizzato”.
In particolare viene ribadito che “non si può essere preti senza equilibrio della mente e del cuore e senza maturità affettiva, e ogni lacuna o problematica non risolta in questo ambito rischia di essere gravemente deleteria sia per la persona che per il popolo di Dio. Considerando l’esito positivo di un tempo propedeutico all’ingresso in seminario, sperimentato già da tempo in molte realtà locali, il testo – rileva il capo Dicastero – ne sottolinea l’importanza e la necessità, ai fini di un’attenta verifica e selezione dei candidati”.
Il documento insiste molto anche sull’aspetto del discernimento vocazionale, perché “i vescovi e i formatori hanno una grande responsabilità e sono chiamati a esercitare una perspicace vigilanza sull’idoneità dei candidati, senza fretta o superficialità”. In tale direzione, la Ratio “cerca di superare alcuni automatismi che sono venuti a crearsi in passato; la sfida – dice il cardinale – è proporre un cammino di formazione integrale che aiuti la persona a maturare in ogni aspetto e favorisca una valutazione finale fatta in base alla globalità del percorso”.
Così, accanto alle già conosciute denominazioni, che suddividevano il cammino in ‘fase degli studi filosofici’, ‘fase degli studi teologici’ e ‘fase pastorale’, sono state aggiunte ‘tappa discepolare’, ‘tappa configuratrice’ e ‘tappa di sintesi vocazionale’. A ciascuna di esse corrisponde un itinerario e un contenuto formativo, “orientati ad assimilare l’immagine del buon pastore”. In breve, spiega Stella, “per essere un buon prete, oltre ad aver superato tutti gli esami, occorre una comprovata maturazione umana, spirituale e pastorale”.
Nello specifico, il prefetto della Congregazione individua tre parole chiave nel testo.
“Umanità”, perché non è mai abbastanza insistere sulla “necessità che i seminaristi siano accompagnati in un processo di crescita che li renda persone umanamente equilibrate, serene e stabili. Solo così sarà possibile avere sacerdoti dal tratto amabile, autentici, leali, interiormente liberi, affettivamente stabili, capaci di intessere relazioni interpersonali pacificate e di vivere i consigli evangelici senza rigidità, né ipocrisie o scappatoie”.
“Spiritualità”, da non mai dare per scontato, perché solo “coltivando la vita spirituale con disciplina e con tempi appositamente dedicati potrà essere superata una visione sacrale o burocratica del ministero e potremo avere sacerdoti appassionati del Vangelo, capaci di ‘sentire con la Chiesa’ e di essere, come Gesù, ‘samaritani’ compassionevoli e misericordiosi”. Il prete – sottolinea il card. Stella – non è infatti “un uomo del ‘fare’, un leader, un organizzatore religioso o un funzionario del sacro, ma è un discepolo innamorato del Signore, la cui vita e il cui ministero sono fondati nell’intima relazione con Dio e nella configurazione a Cristo buon pastore”.
La terza parola è quindi “discernimento”. Un ambito fondamentale, “che richiede la sincera apertura dei candidati e la competenza e disponibilità dei formatori nell’offrire tempo e strumenti utili. Il discernimento è un dono che i pastori devono esercitare su se stessi e, ancor più, negli ambiti pastorali, per accompagnare e leggere in profondità soprattutto le situazioni esistenziali più complesse, per le quali spesso le persone a noi affidate sono segnate, appesantite e ferite”. “Rischiamo infatti di abituarci al ‘bianco o nero’ e a ciò che è legale – annota il porporato – Siamo abbastanza chiusi, in linea di massima, al discernimento. Una cosa è chiara: oggi in una certa quantità di seminari è tornata a instaurarsi una rigidità che non è vicina a un discernimento delle situazioni”. Pertanto la sfida principale che la Ratio intende raccogliere è quella suggerita da Papa Francesco: “Formare preti ‘lungimiranti nel discernimento’”.