Fermo, 7 novembre 2019
INTRODUZIONE
Innanzitutto un ringraziamento per il prezioso servizio che svolgete con dedizione al servizio delle nostre comunità parrocchiali. Questo incontro vuol essere un momento formativo partendo dal presupposto che anche il coro è una ministerialità che richiede formazione, come i catechisti, i lettori, gli operatori della carità, i ministranti… Nel lungo excursus dei riferimenti magisteriali ho attinto all’articolo Canto e musica a servizio della liturgia. Un percorso lungo cento anni del Card. Geraldo M. Agnelo, Segretario della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti dal 1991 al 1999, apparso su l’Osservatore Romano il 3.2.2005. Molti dei suggerimenti, specie nella parte finale, partono dall’esperienza personale che mi ha visto coinvolto per trent’anni nell’animazione del coro parrocchiale e da questi primi due anni di celebrazioni eucaristiche nella Diocesi.
CONSIDERAZIONI PREVIE
Concentriamo l’attenzione soprattutto sulla Messa festiva. Il perno della vita cristiana infatti è l’assemblea liturgica domenicale, che ne è fonte e apice. Il concetto che vorrei trasmettere è: tutti i fedeli svolgono una specifica funzione all’interno della celebrazione, culmine della vita cristiana, perciò tutti devono parteciparvi consapevolmente. Tre riferimenti irrinunciabili: “Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la vittima divina e se stessi con essa, così tutti, sia con l’offerta che con la santa comunione, compiono la propria parte nell’azione liturgica” (LG1 11). La liturgia non esaurisce l’azione della Chiesa ma “è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore” (SC 202). «La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente» (SC 48). Musica e canto cooperano ad esprimere il sentire della Chiesa che «dialoga» con Dio «attraverso riti e preghiere». Perciò non è pensabile una celebrazione eucaristica che non veda partecipare, anche nel canto, il popolo di Dio. 1 La Lumen gentium (LG), è la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa 2 La Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (SC) è un importante documento del Concilio Vaticano II che tratta della liturgia cattolica. 2 La partecipazione al canto è legata all’identità culturale: il cantare esprime l’anima di un popolo, la tradizione di una comunità, incoraggiando senso di appartenenza e di comunione. Per questo, il canto e la musica liturgica sono dicono l’identità della Chiesa raccolta dalla Trinità. Il deposito prezioso della musica sacra e del canto costituiscono narra il sentire della comunità cristiana, al di là dei sentimenti, dei gusti e delle emozioni soggettive. Purtroppo l’assemblea è a volte restìa a cantare anche perché, nella cultura odierna, la musica sembra avere grande importanza, ma di fatto si è disaffezionati al canto. La cultura musicale è spesso fatta di ascolto di quanto eseguito da altri, meno dal coinvolgimento personale in tali azioni. Ci lasciamo emozionare dal canto dell’una o dell’altra star, molto meno dal «canto di popolo». Date queste premesse, spero, al termine della relazione di poter rispondere alle seguenti domande: perché cantare in chiesa?, il motivo del canto liturgico; chi canta?, rapporto tra assemblea, il ministro ordinato, la schola, il salmista… che cosa cantare?, quali testi sono richiesti dalla liturgia; quando cantare?, il rapporto con i momenti e i riti della celebrazione. come cantare?, il genere e le modalità
IL MAGISTERO DELLA CHIESA
Il cammino recente della Chiesa su canto e musica nella liturgia è racchiuso tra il motu proprio “Tra le sollecitudini” di San Pio X che inizia a trattare la tematica, e il chirografo di Giovanni Paolo II, pubblicato nel 2003 nel centenario. «Tra le sollecitudini». Con questo motu proprio, del 22.11.1903 (Santa Cecilia), San Pio X volle rilanciare la bontà della musica sacra, in modo da contrastare la tendenza dell’epoca di adottare, durante le celebrazioni, uno stile teatrale ed operistico; tale genere musicale non favoriva il senso del sacro né aiutava la preghiera. Ribadì il duplice scopo della celebrazione liturgica: «la gloria di Dio e l’edificazione dei fedeli» con la musica al servizio di questo mistero. Nella linea tracciata da San Pio X, il tema della musica sacra è stato affrontato anche dai suoi successori: Pio XI nella Costituzione apostolica Divini Cultus (20.12.1929), Pio XII nelle encicliche Mediator Dei (20.11.1947) e Musicae Sacrae Disciplina (25.12.1955). La Sacra Congregazione dei Riti ne tratta nell’istruzione Musica Sacra e Sacra Liturgia (3.9.1958). Questi documenti, con qualche modifica o apertura, confermano le linee indicate dal Motu proprio di San Pio X, insistendo su tre punti principali: il primato del canto gregoriano; l’uso del latino come lingua liturgica; l’organo a canne come strumento musicale da preferire. Non si deve dimenticare che tali documenti considerava la liturgia come esclusiva del «clero»; i fedeli erano piuttosto coloro che assistevano alle azioni liturgiche, ma non vi partecipavano attivamente.
Il Concilio Vaticano II
La prospettiva conciliare vede la liturgia come azione di Cristo e della Chiesa (cfr. SC 7). Alla musica sacra è dedicato il cap. VI (nn. 112-121) della SC. Non si parla della «musica sacra» in se stessa, vista isolatamente ma si analizza il mistero della celebrazione cristiana manifestato dalla musica e dal canto, che 3 realizzano la loro funzione se contribuiscono a significare questo mistero favorendo la partecipazione interiore ed esteriore dei fedeli: «nella liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera» (SC 33). È chiaro che la schola cantorum ha una funzione essenziale nel favorire questa partecipazione. Il Concilio, nell’invito a conservare e incrementare il patrimonio musicale della Chiesa, chiede alle scholae cantorum, di far sì che tutta l’assemblea, nelle celebrazioni in canto, possa partecipare attivamente: “Si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della musica sacra. Si promuovano con impegno le « scholae cantorum » in specie presso le chiese cattedrali. I vescovi e gli altri pastori d’anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata con il canto tutta l’assemblea dei fedeli possa partecipare attivamente” (SC 114). Viene ricordato che il canto non è un accessorio dei riti e delle preghiere, ma appartiene alla struttura della celebrazione: si canta in chiesa con la precisa finalità di favorire il dialogo tra Dio e il popolo. Perciò, il canto e la musica svolgono la loro parte solo se «servono» la liturgia: «Il canto sacro è stato lodato sia dalla Sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai Romani Pontefici che recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel servizio divino» (SC 112). Il servizio, il compito ministeriale è dunque il fine della musica e del canto liturgico. Già San Pio X parlava della musica come «umile ancella» della liturgia. Pio XI, nella Costituzione Apostolica Divini cultus sanctitatem del 1928, la definiva «serva nobilissima». Pio XII, nell’Istruzione Musicae Sacrae Disciplina del 1955, giungeva a chiamarla «sacrae liturgiae quasi administra», spianando così la strada al senso indicato dal Vaticano II. Da San Pio X alla Sacrosanctum Concilium c’è un crescendo nell’esplicitare il significato del canto e della musica per la liturgia.
Il compito del canto e della musica secondo il Concilio
Il canto e la musica non sono puro ornamento esteriore e coreografico da fruire in parallelo all’azione liturgica. Sono invece modi concreti attraverso i quali la Chiesa intrattiene il dialogo di fede con Dio, e non ingredienti di una religiosità qualsiasi che muove il sentimento ma non la vita. Sono realtà vive, come è viva la liturgia, e non un repertorio da eseguire autonomamente dalla celebrazione, come accade ad esempio in un concerto. Sono encomiabili gli sforzi e l’impegno di tante nostre corali nel preparare canti anche impegnativi, specie nelle grandi solennità. Ma non dobbiamo dimenticare che la bontà dell’esecuzione musicale, la sua perfezione formale, pur avendo un suo influsso positivo sulla preghiera, da sola è insufficiente a dare alla musica il senso proprio di musica per la liturgia. Tre ambiti in cui il canto e la musica svolgono il loro compito ministeriale: – A servizio della rivelazione biblica. La Chiesa, seguendo la tradizione ebraica, canta anzitutto la Parola di Dio: la Bibbia, infatti, fornisce i testi da cantare; le composizioni ecclesiastiche vengono dopo e sono ispirate alle Scritture. L’esempio più eloquente sono i Salmi, adottati dalla tradizione come propri del culto liturgico, le stesse antifone che accompagnano i canti della Messa sono riproposizione di versetti biblici. La bellezza del canto traduce ed interpreta la Parola divina: così la ministerialità del canto e della musica perviene al suo 4 vertice e il segno sonoro viene elevato a segno liturgico che comunica i contenuti della Parola di Dio celebrata. Suono e musica aiutano a penetrare il misterioso significato veicolato dai testi sacri, riesprimendolo, esaltandolo, aiutando ad interiorizzarlo. Per questo motivo vanno sempre privilegiati i canti a contenuto biblico rispetto ad altri testi. – A servizio dell’agire rituale, ossia delle parole e dei gesti, ciascuno con una valenza specifica e inserito in una sequenza celebrativa. Tra musica e rito intercorre una osmosi vitale (anche il silenzio ha valenza «musicale») perciò canto e musica concorrono ad esprimere il significato e la funzione di un dato «testo» o «gesto» della celebrazione. Per questo, ad ogni funzione rituale corrisponde una confacente espressione musicale: il canto d’ingresso ha una funzione diversa dal canto alla comunione e anche lo stile, il tempo, la solennità dell’esecuzione vanno misurati tenendo conto di questa diversità. – A servizio della comunità orante, ossia l’assemblea «ora» e «qui», dove ognuno dei presenti ha la sua parte da compiere. Data la natura comunitaria della celebrazione, tutti e ciascuno, compresa la scuola di canto, partecipano alla preghiera secondo le loro possibilità. Non è pensabile una assemblea liturgica dove si faccia distinzione tra cantori e pubblico – come avviene in un concerto -, come se ognuno partecipasse alla preghiera a modo suo. Il canto non riguarda solo i cantori, ma anche chi presiede la celebrazione e tutti coloro che vi partecipano, tra cui i cantori e i musicisti. D’altro canto, prima che musicisti e cantori, questi sono dei fedeli che partecipano alla preghiera della comunità prestando il loro servizio cantando e suonando. È impensabile che un cantore partecipi alla Messa esclusivamente per eseguire dei canti, quasi come un professionista e non invece come un fedele che partecipa piamente, consapevolmente e fruttuosamente ai santi misteri. Se canto e musica non sono eco della gloria di Dio e non coinvolgono sistematicamente il popolo, celebrano se stessi e scadono nella idolatria, risultando un ostacolo all’incontro con il Dio vivente. Ribadisco che il loro fine non è quello di far ascoltare a degli spettatori un’opera musicale, quanto di rendere visibile, attraverso il suono, la dimensione discendente e ascendente della celebrazione cristiana, ossia il dialogo salvifico tra Dio e il suo popolo. In altre occasioni si possono organizzare altri eventi per valorizzare la musica sacra e la bravura acquisita dalla schola cantorum. Infine, Concilio non ha trascurato l’attenzione alla necessaria formazione musicale (SC 115). Ha riconosciuto il canto gregoriano come «canto proprio della liturgia romana», e pertanto da conservare, senza tuttavia escludere altri generi di musica sacra, specialmente la polifonia, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica (SC 117). Ha invitato a promuovere con impegno il canto popolare (SC 118). Sulla promozione del canto gregoriano e il recupero dei canti popolari mi pare che le indicazioni conciliari vengano ancora largamente disattese.
Il post Concilio
«Se il Concilio Ecumenico ha aperto nuove strade per il futuro della musica sacra, stabilendo che nelle sacre celebrazioni il primato del canto liturgico spetti all’assemblea, non per questo viene diminuito il ruolo delle Cappelle musicali o delle «scholae cantorum»: il loro compito anzi è divenuto di ancor maggiore rilievo e 5 importanza, perché devono servire di sostegno, di modello, di stimolo per una musica più elevata ed elevante» (Paolo VI, Discorso del 25 Settembre 1977). A meno di quattro anni da SC, l’Istruzione Musicam sacram (5 Marzo1967) della Sacra Congregazione dei Riti, esplicitava le direttive conciliari: ricordava i criteri e la funzione del canto e della musica nelle celebrazioni liturgiche, e dava soprattutto indicazioni concrete. Un passaggio relativo al ministero delle scholae: «È degno di particolare attenzione, per il servizio liturgico che svolge, il coro o cappella musicale o schola cantorum. In seguito alle norme conciliari riguardanti la riforma liturgica, il suo compito è divenuto di ancor maggiore rilievo e importanza: deve, infatti, attendere all’esecuzione esatta delle parti sue proprie, secondo i vari generi di canti, e favorire la partecipazione attiva dei fedeli nel canto» (n. 19). Anche i nn. 39-41 dell’Ordinamento generale del Messale Romano (ed. 2004) sono autorevoli riferimenti. Alcune sottolineature: – Il canto nella celebrazione della Messa è così importante (n° 39) che deve tener conto dell’assemblea concreta che ha di fronte e delle sue possibilità: se può cantare ancora in gregoriano e in latino, se può adottare la polifonia; se è una comunità religiosa che forse avrà un repertorio diverso da una parrocchia, se è formata prevalentemente da bambini, da giovani, da anziani, ecc. – L’Ordinamento distingue ancora, nel n° 40, tra celebrazioni feriali e domenicali, ricordando che se non è sempre necessario cantare tutti i testi per loro natura destinati al canto (ad es. il Kyrie, il Gloria). Si deve fare in modo che nelle celebrazioni domenicali non manchi il canto dei ministri e del popolo. «Nella scelta delle parti destinate al canto si dia la preferenza a quelle di maggiore importanza e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote, dal diacono, dal lettore con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme». Ciò significa che nella Messa – contrariamente a quanto si pensa comunemente – hanno priorità i dialoghi tra i ministri e il popolo, così come le acclamazioni brevi (ad es., prima e dopo il vangelo o quelle che intercalano la Preghiera eucaristica). Nella liturgia della parola ha priorità il Salmo e nella Preghiera eucaristica il Santo e l’Amen conclusivo. – Nel n. 41 si richiama la preferenza da accordare, a parità di condizioni, al canto gregoriano, come indicato dalla SC 116, senza escludere altri generi di musica, purché «rispondano allo spirito dell’azione liturgica e favoriscano la partecipazione di tutti i fedeli». Infine, si chiede che i fedeli sappiano cantare insieme, in lingua latina e nelle melodie più facili, almeno le parti dell’ordinario della Messa, specie il Credo e il Pater noster. – Infine, sulla schola cantorum e gli strumenti musicali: «La schola cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè è parte della comunità dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; sia agevolato perciò il compimento del suo ministero liturgico e sia facilitata a ciascuno dei membri della schola la partecipazione sacramentale piena alla Messa» (n. 312). Giovanni Paolo II ha toccato a più riprese il tema delle scholae cantorum. Nella lettera apostolica Dies Domini, al n° 50, a proposito di una celebrazione gioiosa e canora, il Papa scrive: «Dato il carattere proprio della Messa domenicale e l’importanza che essa riveste per la Vita dei fedeli, è necessario prepararla con speciale cura. Nelle forme suggerite dalla saggezza pastorale e dagli usi locali in 6 armonia con le norme liturgiche, bisogna assicurare alla celebrazione quel carattere festoso che s’addice al giorno commemorativo della Risurrezione del Signore. A tale scopo è importante dedicare attenzione al canto dell’assemblea, poiché esso è particolarmente adatto ad esprimere la gioia del cuore, sottolinea la solennità e favorisce la condivisione dell’unica fede e del medesimo amore. Ci si preoccupi pertanto della sua qualità, sia per quanto riguarda i testi che le melodie, affinché quanto si propone oggi di nuovo e creativo sia conforme alle disposizioni liturgiche e degno di quella tradizione ecclesiale che vanta, in materia di musica sacra, un patrimonio di inestimabile valore». Nella preparazione della liturgia, non mi pare superfluo l’invito a raccordarsi col gruppo liturgico, i lettori, il celebrante per concordare a scelta dei canti, il canto del Salmo, l’Alleluia, le risposte del popolo… Nel Chirografo per il centenario del Tra le sollecitudini (22.11.2003), Giovanni Paolo Il ripercorre i principi e le istanze del nostro argomento. Al n° 8, in relazione ai cantori, osserva che «il compito della schola non è venuto meno: essa infatti svolge nell’assemblea il ruolo di guida e di sostegno e, in certi momenti della liturgia, ha un proprio ruolo specifico. Dal buon coordinamento di tutti – il sacerdote celebrante e il diacono, gli accoliti, i ministranti, i lettori, il salmista, la schola cantorum, i musicisti, il cantore, l’assemblea – scaturisce quel giusto clima spirituale che rende il momento liturgico veramente intenso, partecipato e fruttuoso. L’aspetto musicale delle celebrazioni liturgiche, quindi, non può essere lasciato né all’improvvisazione, né all’arbitrio dei singoli, ma deve essere affidato ad una ben concertata direzione nel rispetto delle norme e delle competenze, quale significativo frutto di un’adeguata formazione liturgica». Nella Lettera Spiritus et Sponsa (4.12.03), il Papa torna sulla musica quale mezzo privilegiato per facilitare la partecipazione attiva dei fedeli all’azione sacra, ribadendo «la necessità che la musica, secondo le direttive della Sacrosanctum Concilium, conservi e incrementi il suo ruolo all’interno delle celebrazioni liturgiche, tenendo conto del carattere proprio della Liturgia come della sensibilità del nostro tempo e delle tradizioni musicali delle diverse regioni del mondo» (n° 4).
LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI
Queste ultime citazioni magisteriali sottolineano l’esigenza che il coro sia adeguatamente formato. Certo, è necessaria una formazione al canto liturgico che aiuti ad evitare errori, superficialità, sciatterie; che non trascuri temi decisivi: la celebrazione eucaristica e le sue parti, l’anno liturgico, la musica e il canto nella liturgia, identità e ministero della schola cantorum, ecc. Tale formazione però non è sufficiente per maturare la necessaria sensibilità ecclesiale a svolgere il delicato servizio della musica e del canto: al pari degli altri gruppi (catechisti, ministranti, ministri straordinari, operatori Caritas, gruppo liturgico…) anche ai membri della schola è richiesto un cammino personale di formazione alla vita cristiana in parrocchia. Questo comporterà che i membri della corale siano inserito attivamente nella vita della comunità. Elenco, seppur con un tono scherzoso, alcuni punti critici della celebrazione da tener presente, che ho rilevato in due anni di celebrazioni: 7 Io me la canto, io me la suono… è il tema principale del nostro incontro. Il coro non può far tutto da solo; più la celebrazione è solenne più deve favorire spazi di partecipazione al popolo. Può essere utile l’animatore che guida l’assemblea. Rispetto dei tempi celebrativi: il canto è per la liturgia, non viceversa. Occorre evitare che il celebrante attenda a lungo la conclusione del canto se il momento rituale (ingresso, offertorio, comunione) si è concluso da un pezzo. Individuare il genere musicale adatto al momento liturgico in cui si canta. Si è detto in precedenza che un canto d’offertorio o di comunione non ha lo stesso stile solenne del canto d’ingresso o di adorazione. Inoltre bisogna tener conto che non sempre il tempo e il ritmo di tutti i canti si conciliano con la partecipazione attiva del popolo che non sostiene ritmi incalzanti. Scegliere con cura i testi (prediligendo contenuti biblici). Per esempio, alla Comunione, oltre ad un canto eucaristico si può riproporre in canto il Vangelo del giorno, o far riferimento al tempo liturgico che si vive Evitare di appiattire le tonalità sulle esigenze del Direttore del coro, dei solisti o del… parroco! Evitare di abbassare troppo i canti perché “non si arriva”, cercando invece di educare le voci dei coristi. Per i canti da cantare insieme al popolo tenere conto che oltre una certa nota (do/re) alta non si può andare. Favorire la voce principale (soprani) che deve percepirsi nettamente dal popolo per poter a sua volta cantare. Capita, nei canti polifonici, che si sentono tutte le voci tranne quella principale. Andare alla fonte: lo spartito. Per questo, almeno uno nel coro deve conoscere la musica, così da evitare errori di esecuzione e distorsioni che si perpetuano nel tempo (es. S. Maria del cammino, Ed oggi ancora, Ti ringrazio, Tu sei la mia vita…). Studiare uno spartito è più impegnativo che imparare i canti liturgici attraverso i video Youtube o il passaparola ma è segno di rispetto verso il servizio che rendiamo alla liturgia. Armonizzare il volume degli strumenti musicali perché non abbiano il sopravvento rispetto al canto, che deve potersi distinguere sia perché il popolo possa partecipare sia per percepire il contenuto del canto che si sta eseguendo. Attenzione all’atto penitenziale. Spesso capita di eseguire in automatico il Gloria dopo l’Atto penitenziale senza aver verificare che il sacerdote abbia dato l’assoluzione (Dio onnipotente abbia misericordia di voi…) Eseguire l’Alleluja correttamente, accordandosi coi lettori se leggere o no il versetto, e col celebrante, nel caso il canto debba ripetersi dopo il Vangelo. Rispettare i tempi dello Scambio di pace e dell’Agnello di Dio, evitando di sovrapporre il primo (quando c’è, dev’essere breve) alla frazione del pane, così come il sacerdote avrà cura di non iniziare la frazione del pane durante lo scambio di pace. Viceversa è irritante iniziare il canto dell’Agnello di Dio appena si è stati invitati a scambiarsi il dono della pace.
8 CONCLUSIONI
Riprendiamo le domande poste all’inizio: perché cantare in chiesa? Per favorire il dialogo del popolo con il suo Dio nell’azione liturgica chi canta? Tutti, schola e assemblea, secondo un ministero e un ruolo specifico che cosa cantare? Innanzitutto testi della Scrittura e solo ciò che è aderente al momento liturgico che si sta vivendo. All’Offertorio non è necessario cantare sempre quando cantare? Innanzitutto per favorire il dialogo tra celebrante e popolo, poi le parti fisse della Messa (Kyrie, Gloria, Alleluja, Sanctus, Pater noster, Agnus Dei), e tutto il resto. Mai prolungare inutilmente il momento rituale. come cantare?, innanzitutto rispettando lo spartito, scegliendo canti e ritmi che facilitino la partecipazione esteriore ed interiore del popolo al momento rituale. Valorizzare la partecipazione di tutti alla celebrazione, non significa minimizzare il compito della schola cantorum, ma dare ad essa il ruolo ministeriale che le spetta. E viceversa, valorizzare la schola cantorum non vuol dire trasformare la Messa in un concerto di musica religiosa. I membri di una scuola di canto non possono certamente essere tutti esperti nei vari risvolti del canto liturgico, ma almeno qualcuno dev’essere adeguatamente preparato. Sottolineo il valore della scuola diocesana di musica e liturgia e delle competenze dei parroci che potrebbero contribuire a supportare la formazione degli operatori del canto. Il cantare la liturgia e non solo durante la liturgia, deve portare il popolo di Dio a rimanere edificato e rigenerato dalla partecipazione all’Eucaristia che non è un precetto da assolvere ma dono di grazia da ricevere e condividere gioiosamente con i fratelli. + Rocco Pennacchio Arcivescovo