Il primo incontro di “Pane, racconti e fraternità”, al Santuario di Santa Maria Apparente, con Cinzia e Stefano, famiglia“aperta”
Il primo ad avvicinarmi, quella sera, è stato Luca, un ragazzo con la sindrome di Down e tanti problemi di salute, che mi ha chiesto come mi chiamavo, mi ha toccato un braccio, mi ha sorriso e mi ha guardato con una dolcezza infinita. Giovedì 6 luglio sono cominciati gli incontri del ciclo “Pane, incontri e fraternità”, pensati all’interno del progetto “Spazi di Fraternità”, al Santuario di Santa Maria Apparente, dove risiede il nostro vice parroco, don Mario Moriconi. Un’oasi di silenzio e ascolto, dove, chi vuole,può andare per pregare, dialogare, meditare o ritrovare la propria dimensione spirituale. Tornando a Luca, la sua accoglienza spontanea, senza filtri e generosa, mi ha fatto sentire subito a casa e mi ha fatto sperimentare la cifra dell’incontro. I suoi genitori adottivi, Cinzia Spataro e Stefano Ricci di Fermo, che erano venuto per condividere la loro esperienza di quasi quarant’anni di affido familiare, hanno sottolineato che “questi ragazzi ci hanno aiutato a cambiare prospettiva” e, soprattutto, “ci hanno insegnato che devi cambiare tu prima di tutto”. “Noi eravamo partiti per salvare il mondo – ricordano – ma non c’era nessuno che voleva essere salvato, al massimo facevano un pezzo di strada con noi”. Questo ribaltamento totale di prospettiva, sperimentato più volte nella relazione con i ragazzi affidati è diventato alla fine una scelta “politica”, vissuta però a livello prepolitico, esistenziale, di chi è convinto che “una diversa normalità è possibile, perché questa normalità non ci piace e cerchiamo di costruirne un’altra che ci piace di più. In fondo nessuno è normale, anche se viviamo dentro un processo di normalizzazione dove domina il pensiero unico e la normalità è la moda”.
Cinzia e Stefano si sono incontrati tanti anni fa all’interno dei gruppi scout e proprio attraverso questi ultimi hanno avuto modo di ascoltare le esperienze di famiglie che accoglievano minori e hanno deciso che quella doveva essere la loro strada. “Nel 1981 Stefano, che era obiettore di coscienza – raccontano – ha svolto il suo servizio nella Comunità di Capodarco che è stato un primo approccio con il mondo della diversità e della disabilità; nel 1983 è stata varata la legge sull’affido familiare e noi ci siamo sposati nel 1984. Volevamo fare qualcosa di nostro, per una voglia di restituzione di qualcosa e per un senso di giustizia. Abbiamo preso una casa di campagna con molti letti e dopo pochi mesi è arrivato il primo bambino in affido, di 10 anni”. Cinzia non ha dimenticato quei momenti: “Improvvisamente dovevo svolgere il ruolo di madre, io che fino a poco tempo prima ero stata solo figlia. Lui non si fidava di nessuno e ci ripeteva spesso ‘tu non mi comandi’;per molto tempo ci ha messo alla prova. Non poteva credere in un aiuto disinteressato ma in fondo ci voleva bene, anche se solo quando è andato via lo ha capito”. In seguito sono nati i figli biologici, Francesco, Chiara ed Elisa e poi è arrivato, a 5 anni, anche Luca, che da bambino in affidamento è diventato figlio adottato. “I nostri amici ci chiamavano santi, matti o marziani – ricordano ancora – ma la dimensione dell’accoglienza è tipica della famiglia. Forse all’inizio c’è stata anche un po’ di sana incoscienza, provavamo un senso di sfida e tanto entusiasmo. Abbiamo sempre pensato che occorre andare avanti, andare oltre l’orizzonte, che bisogna provarci, perché quello che c’è intorno a noi ci interessa”. L’incontro è stato aperto dall’ascolto di una canzone di Laura Pausini “Io sì”, colonna sonora del film “La vita davanti a sé”, che si conclude con questa frase: “Nessuno ti vede, io sì / Nessuno ci crede, ma io sì”. Cinzia ha spiegato che “questa canzone è la sintesi della nostra esperienza: alla fine la cosa che conta è la relazione, è stare lì vicino, è dire all’altro: io ti vedo, io credo in te”.
L’incontro si è svolto a tappe, ovvero si sono alternati momenti di dialogo con momenti in cui i partecipanti, circa una trentina, mangiavano quello che ognuno aveva portato e condiviso. “Questa scelta è stata fatta perché – spiega Amedeo Angelozzi, consacrato e animatore dell’incontro – la tavola è il luogo dell’incontro, dove ci si nutre e richiama in assoluto uno dei momenti fondanti l’esperienza dei discepoli di Gesù: la cena, l’Eucarestia. L’esperienza di questi incontri con la cena condivisavuole essere un tempo per nutrire oltre il corpo, anche le relazioni e la spiritualità. Charles de Foucauld e Francesco di Assisi, le cui storie e scelte di vita stanno alla base del progetto ‘Spazi di Fraternità’, ci appassionano nel vivere il Vangelo con questo stile semplice e che punta all’essenziale, ma che muove, mette in cammino, destruttura le nostre abitudini e certezze e ci invita ad abbandonarci con fiducia alla comunità umana e al cuore di Dio”.
Prossimo incontro venerdì 14 luglio con mons. Gianpiero Palmieri, arcivescovo di Ascoli Piceno e vicepresidente per la CEI del Centro Italia.
Simona Mengascini
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