Mercoledì 15 giugno la 14a Catechesi sulla Vecchiaia: Il lieto servizio della fede che si apprende nella gratitudine (cf. Mc 1, 29-31)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Abbiamo ascoltato il semplice e toccante racconto della guarigione della suocera di Simone – che non è ancora chiamato Pietro – nella versione del vangelo di Marco. Il breve episodio è riportato, con lievi eppure suggestive varianti anche negli altri due vangeli sinottici. «La suocera di Simone era a letto con la febbre», scrive Marco. Non sappiamo se si trattasse di un lieve malore, ma nella vecchiaia anche una semplice febbre può essere pericolosa. Da vecchi non si comanda più il proprio corpo. Bisogna imparare a scegliere cosa fare e cosa non fare. Il vigore del fisico viene meno e ci abbandona, anche se il nostro cuore non smette di desiderare. Bisogna allora imparare a purificare il desiderio: avere pazienza, scegliere cosa domandare al corpo e alla vita. Da vecchi non possiamo fare lo stesso di ciò che facevamo da giovani: il corpo ha un altro ritmo, e dobbiamo ascoltare il corpo e accettare dei limiti. Tutti ne abbiamo. Anche io devo andare con il bastone, adesso.
La malattia pesa sull’anziano, in modo diverso e nuovo rispetto a quando si è giovani o adulti. È come un colpo duro che si abbatte su un tempo già difficile. La malattia del vecchio sembra affrettare la morte e comunque diminuire quel tempo da vivere che già consideriamo ormai breve. Si insinua il dubbio che non ci riprenderemo, che “questa volta sarà l’ultima che mi ammalo…”, e così via: vengono queste idee … Non si riesce a sognare la speranza in un futuro che appare ormai inesistente. Un famoso scrittore italiano, Italo Calvino, notava l’amarezza dei vecchi che soffrono il perdersi delle cose d’una volta, più di quanto non godano il sopravvenire delle nuove. Ma la scena evangelica che abbiamo ascoltato ci aiuta a sperare e ci offre già un primo insegnamento: Gesù non visita da solo quell’anziana donna malata, ci va insieme ai discepoli. E questo ci fa pensare un po’.
È proprio la comunità cristiana che deve prendersi cura degli anziani: parenti e amici, ma la comunità. La visita agli anziani va fatta da tanti, assieme e spesso. Mai dovremmo dimenticare queste tre righe del Vangelo. Oggi soprattutto che il numero degli anziani è notevolmente cresciuto, anche in proporzione ai giovani, perché siamo in questo inverno demografico, si fanno meno figli e ci sono tanti anziani e pochi giovani. Dobbiamo sentire la responsabilità di visitare gli anziani che spesso sono soli e presentarli al Signore con la nostra preghiera. Gesù stesso ci insegnerà come amarli. «Una società è veramente accogliente nei confronti della vita quando riconosce che essa è preziosa anche nell’anzianità, nella disabilità, nella malattia grave e anche quando si sta spegnendo» (Messaggio alla Pontificia Accademia per la Vita, 19 febbraio 2014). La vita sempre è preziosa. Gesù, quando vede l’anziana donna malata, la prende per mano e la guarisce: lo stesso gesto che fa per resuscitare quella giovane che era morta: la prende per mano e la fa alzare, la guarisce rimettendola in piedi. Gesù, con questo gesto tenero d’amore, dà la prima lezione ai discepoli: cioè, la salvezza si annuncia o, meglio, si comunica attraverso l’attenzione a quella persona malata; e la fede di quella donna risplende nella gratitudine per la tenerezza di Dio che si è chinata su di lei. Torno su un tema che ho ripetuto in queste catechesi: questa cultura dello scarto sembra cancellare gli anziani. Sì, non li uccide, ma socialmente li cancella, come se fossero un peso da portare avanti: è meglio nasconderli. Questo è un tradimento della propria umanità, questa è la cosa più brutta, questo è selezionare la vita secondo l’utilità, secondo la giovinezza e non con la vita come è, con la saggezza dei vecchi, con i limiti dei vecchi. I vecchi hanno tanto da darci: c’è la saggezza della vita. Tanto da insegnarci: per questo noi dobbiamo insegnare anche ai bambini che accudiscano i nonni e vadano dai nonni. Il dialogo giovani-nonni, bambini-nonni è fondamentale per la società, è fondamentale per la Chiesa, è fondamentale per la sanità della vita. Dove non c’è dialogo tra giovani e vecchi manca qualcosa e cresce una generazione senza passato, cioè senza radici.
Se la prima lezione l’ha data Gesù, la seconda ce la dà l’anziana donna, che “si alzò e si mise a servirli”. Anche da anziani si può, anzi, si deve servire la comunità. È bene che gli anziani coltivino ancora la responsabilità di servire, vincendo la tentazione di mettersi da parte. Il Signore non li scarta, al contrario ridona loro la forza per servire. E mi piace notare che non c’è nessuna speciale enfasi nel racconto da parte degli evangelisti: è la normalità della sequela, che i discepoli apprenderanno, in tutta la sua portata, lungo il cammino di formazione di cui faranno esperienza alla scuola di Gesù. Gli anziani che conservano la disposizione per la guarigione, la consolazione, l’intercessione per i loro fratelli e sorelle – siano discepoli, siano centurioni, persone disturbate da spiriti maligni, persone scartate… –, sono forse la testimonianza più alta della purezza di questa gratitudine che accompagna la fede. Se gli anziani, invece di essere scartati e congedati dalla scena degli eventi che segnano la vita della comunità, fossero messi al centro dell’attenzione collettiva, sarebbero incoraggiati ad esercitare il prezioso ministero della gratitudine nei confronti di Dio, che non dimentica nessuno. La gratitudine delle persone anziane per i doni ricevuti da Dio nella loro vita, così come ci insegna la suocera di Pietro, restituisce alla comunità la gioia della convivenza, e conferisce alla fede dei discepoli il tratto essenziale della sua destinazione.
Ma dobbiamo apprendere bene che lo spirito dell’intercessione e del servizio, che Gesù prescrive a tutti i suoi discepoli, non è semplicemente una faccenda di donne: non c’è ombra di questa limitazione, nelle parole e nei gesti di Gesù. Il servizio evangelico della gratitudine per la tenerezza di Dio non si scrive in nessun modo nella grammatica dell’uomo padrone e della donna serva. Questo tuttavia non toglie che le donne, sulla gratitudine e sulla tenerezza della fede, possano insegnare agli uomini cose che questi fanno più fatica a comprendere. La suocera di Pietro, prima che gli Apostoli ci arrivassero, lungo il cammino della sequela di Gesù, mostrò la via anche a loro. E la speciale delicatezza di Gesù, che le “toccò la mano” e si “chinò delicatamente” su di lei, mise in chiaro, fin dall’inizio, la sua speciale sensibilità verso i deboli e i malati, che il Figlio di Dio aveva certamente appreso dalla sua Madre. Per favore, facciamo in modo che i vecchi, che i nonni, le nonne siano vicini ai bambini, ai giovani per trasmettere questa memoria della vita, per trasmettere questa esperienza della vita, questa saggezza della vita. Nella misura in cui noi facciamo sì che i giovani e i vecchi si colleghino, in questa misura ci sarà più speranza per il futuro della nostra società.