Ricordo che papa Francesco, dopo aver proposto nelle Udienze generali del mercoledì, 20 catechesi sugli Atti degli Apostoli (dal 29 maggio 2019 al 15 gennaio 2020), con il 29 gennaio 2020 aveva iniziato a proporre delle catechesi sulle Beatitudini (9). Poi, ne aveva cominciate altre sulla preghiera; ne aveva proposte 8 precisamente (il mistero della preghiera [6 maggio], La preghiera del cristiano [13 maggio], Il mistero della creazione [20 maggio], La preghiera dei giusti [27 maggio], La preghiera di Abramo [3 giugno], La preghiera di Giacobbe [10 giugno], La preghiera di Mosè [17 giugno], La preghiera di Davide [24 giugno]). Poi ha sentito l’esigenza di sospenderle per inziarne altre: “Guarire il mondo”, per riflettere su quanto stiamo vivendo a motivo della pandemia.
Di seguito, si propone, quella del 12 agosto: Fede e dignità umana.
Catechesi – “Guarire il mondo”: 2. Fede e dignità umana
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
La pandemia ha messo in risalto quanto siamo tutti vulnerabili e interconnessi. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da coloro che sono maggiormente colpiti, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo.
È da lodare l’impegno di tante persone che in questi mesi stanno dando prova dell’amore umano e cristiano verso il prossimo, dedicandosi ai malati anche a rischio della propria salute. Sono degli eroi! Tuttavia, il coronavirus non è l’unica malattia da combattere, ma la pandemia ha portato alla luce patologie sociali più ampie. Una di queste è la visione distorta della persona, uno sguardo che ignora la sua dignità e il suo carattere relazionale. A volte guardiamo gli altri come oggetti, da usare e scartare. In realtà, questo tipo di sguardo acceca e fomenta una cultura dello scarto individualistica e aggressiva, che trasforma l’essere umano in un bene di consumo (cf. Esort. ap. Evangelii gaudium, 53; Enc. Laudato si’ [LS], 22).
Nella luce della fede sappiamo, invece, che Dio guarda all’uomo e alla donna in un altro modo. Egli ci ha creati non come oggetti, ma come persone amate e capaci di amare; ci ha creati a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1, 27). In questo modo ci ha donato una dignità unica, invitandoci a vivere in comunione con Lui, in comunione con le nostre sorelle e i nostri fratelli, nel rispetto di tutto il creato. In comunione, in armonia, possiamo dire. La creazione è un’armonia nella quale siamo chiamati a vivere. E in questa comunione, in questa armonia che è comunione, Dio ci dona la capacità di procreare e di custodire la vita (cf. Gen 1, 28-29), di lavorare e prenderci cura della terra (cf. Gen 2, 15; LS, 67). Si capisce che non si può procreare e custodire la vita senza armonia; sarà distrutta.
Di quello sguardo individualista, quello che non è armonia, abbiamo un esempio nei Vangeli, nella richiesta fatta a Gesù dalla madre dei discepoli Giacomo e Giovanni (cf. Mt 20, 20-28). Lei vorrebbe che i suoi figli possano sedersi alla destra e alla sinistra del nuovo re. Ma Gesù propone un altro tipo di visione: quella del servizio e del dare la vita per gli altri, e la conferma restituendo subito dopo la vista a due ciechi e facendoli suoi discepoli (cf. Mt 20, 29-34). Cercare di arrampicarsi nella vita, di essere superiori agli altri, distrugge l’armonia. È la logica del dominio, di dominare gli altri. L’armonia è un’altra cosa: è il servizio.
Chiediamo, dunque, al Signore di darci occhi attenti ai fratelli e alle sorelle, specialmente a quelli che soffrono. Come discepoli di Gesù non vogliamo essere indifferenti né individualisti, questi sono i due atteggiamenti brutti contro l’armonia. Indifferente: io guardo da un’altra parte. Individualisti: guardare soltanto il proprio interesse. L’armonia creata da Dio ci chiede di guardare gli altri, i bisogni degli altri, i problemi degli altri, essere in comunione. Vogliamo riconoscere in ogni persona, qualunque sia la sua razza, lingua o condizione, la dignità umana. L’armonia ti porta a riconoscere la dignità umana, quell’armonia creata da Dio, con l’uomo al centro.
Il Concilio Vaticano II sottolinea che questa dignità è inalienabile, perché «è stata creata a immagine di Dio» (Cost. past. Gaudium et spes, 12). Essa sta a fondamento di tutta la vita sociale e ne determina i principi operativi. Nella cultura moderna, il riferimento più vicino al principio della dignità inalienabile della persona è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che San Giovanni Paolo II ha definito «pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano» [Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979), 7], e come «una delle più alte espressioni della coscienza umana» [Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (5 ottobre 1995), 2]. I diritti non sono solo individuali, ma anche sociali; sono dei popoli, delle nazioni [Cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 157]. L’essere umano, infatti, nella sua dignità personale, è un essere sociale, creato a immagine di Dio Uno e Trino. Noi siamo esseri sociali, abbiamo bisogno di vivere in questa armonia sociale, ma quando c’è l’egoismo, il nostro sguardo non va agli altri, alla comunità, ma torna su noi stessi e questo ci fa brutti, cattivi, egoisti, distruggendo l’armonia.
Questa rinnovata consapevolezza della dignità di ogni essere umano ha serie implicazioni sociali, economiche e politiche. Guardare il fratello e tutto il creato come dono ricevuto dall’amore del Padre suscita un comportamento di attenzione, di cura e di stupore. Così il credente, contemplando il prossimo come un fratello e non come un estraneo, lo guarda con compassione ed empatia, non con disprezzo o inimicizia. E contemplando il mondo alla luce della fede, si adopera a sviluppare, con l’aiuto della grazia, la sua creatività e il suo entusiasmo per risolvere i drammi della storia. Concepisce e sviluppa le sue capacità come responsabilità che scaturiscono dalla sua fede [Ibid.], come doni di Dio da mettere al servizio dell’umanità e del creato.
Mentre tutti noi lavoriamo per la cura da un virus che colpisce tutti in maniera indistinta, la fede ci esorta a impegnarci seriamente e attivamente per contrastare l’indifferenza davanti alle violazioni della dignità umana. Questa cultura dell’indifferenza che accompagna la cultura dello scarto: le cose che non mi toccano non mi interessano. La fede sempre esige di lasciarci guarire e convertire dal nostro individualismo, sia personale sia collettivo; un individualismo di partito, per esempio.
Possa il Signore “restituirci la vista” per riscoprire che cosa significa essere membri della famiglia umana. E possa questo sguardo tradursi in azioni concrete di compassione e rispetto per ogni persona e di cura e custodia per la nostra casa comune.