Alle ore 12 di Domenica 7 novembre, Francesco dalla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano ha recitato l’Angelus con i fedeli e i pellegrini riuniti in Piazza San Pietro. Nell’introdurre la preghiera mariana, il Papa ha detto le seguenti parole:
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
La scena descritta dal Vangelo della Liturgia odierna si svolge all’interno del Tempio di Gerusalemme. Gesù guarda, guarda ciò che succede in questo luogo, il più sacro di tutti, e vede come gli scribi amino passeggiare per essere notati, salutati riveriti, e per avere posti d’onore. E Gesù aggiunge che «divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere» (Mc 12, 40). Nello stesso tempo, i suoi occhi scorgono un’altra scena: una povera vedova, proprio una di quelle sfruttate dai potenti, getta nel tesoro del Tempio «tutto quanto aveva per vivere» (v. 44). Così dice il Vangelo, getta nel tesoro tutto quanto aveva per vivere. Il Vangelo ci mette davanti questo stridente contrasto: i ricchi, che danno il superfluo per farsi vedere, e una povera donna che, senza apparire, offre tutto il poco che ha. Due simboli di atteggiamenti umani.
Gesù guarda le due scene. Ed è proprio questo verbo – “guardare” – che riassume il suo insegnamento: da chi vive la fede con doppiezza, come quegli scribi, “dobbiamo guardarci” per non diventare come loro; mentre la vedova dobbiamo “guardarla” per prenderla come modello. Soffermiamoci su questo: guardarsi dagli ipocriti e guardare alla povera vedova.
Anzitutto, guardarsi dagli ipocriti, cioè stare attenti a non basare la vita sul culto dell’apparenza, dell’esteriorità, sulla cura esagerata della propria immagine. E, soprattutto, stare attenti a non piegare la fede ai nostri interessi. Quegli scribi coprivano, con il nome di Dio, la propria vanagloria e, ancora peggio, usavano la religione per curare i loro affari, abusando della loro autorità e sfruttando i poveri. Qui vediamo quell’atteggiamento così brutto che anche oggi vediamo in tanti posti, in tanti luoghi, il clericalismo, questo essere sopra gli umili, sfruttarli, “bastonarli”, sentirsi perfetti. Questo è il male del clericalismo. È un monito per ogni tempo e per tutti, Chiesa e società: mai approfittare del proprio ruolo per schiacciare gli altri, mai guadagnare sulla pelle dei più deboli! E vigilare, per non cadere nella vanità, perché non ci succeda di fissarci sulle apparenze, perdendo la sostanza e vivendo nella superficialità. Chiediamoci, ci aiuterà: in quello che diciamo e facciamo, desideriamo essere apprezzati e gratificati oppure rendere un servizio a Dio e al prossimo, specialmente ai più deboli? Vigiliamo sulle falsità del cuore, sull’ipocrisia, che è una pericolosa malattia dell’anima! È un pensare doppio, un giudicare doppio, come dice la stessa parola: “giudicare sotto”, apparire in un modo e “ipo”, sotto, avere un altro pensiero. Doppi, gente con l’anima doppia, doppiezza dell’anima.
E per guarire da questa malattia, Gesù ci invita a guardare alla povera vedova. Il Signore denuncia lo sfruttamento verso questa donna che, per fare l’offerta, deve tornare a casa priva persino del poco che ha per vivere. Quanto è importante liberare il sacro dai legami con il denaro! Già Gesù lo aveva detto, in un altro posto: non si può servire due padroni. O tu servi Dio – e noi pensiamo che dica “o il diavolo”, no – o Dio o il denaro. È un padrone, e Gesù dice che non dobbiamo servirlo. Ma, allo stesso tempo, Gesù loda il fatto che questa vedova getta nel tesoro tutto ciò che ha. Non le rimane niente, ma trova in Dio il suo tutto. Non teme di perdere il poco che ha, perché ha fiducia nel tanto di Dio, e questo tanto di Dio moltiplica la gioia di chi dona. Questo ci fa pensare anche a quell’altra vedova, quella del profeta Elia, che stava per fare una focaccia con l’ultima farina che aveva e l’ultimo olio; Elia le dice: “Dammi da mangiare” e lei dà; e la farina non diminuirà mai, un miracolo (cfr 1 Re 17,9-16). Il Signore sempre, davanti alla generosità della gente, va oltre, è più generoso. Ma è Lui, non l’avarizia nostra. Ecco allora che Gesù la propone come maestra di fede, questa signora: lei non frequenta il Tempio per mettersi la coscienza a posto, non prega per farsi vedere, non ostenta la fede, ma dona con il cuore, con generosità e gratuità. Le sue monetine hanno un suono più bello delle grandi offerte dei ricchi, perché esprimono una vita dedita a Dio con sincerità, una fede che non vive di apparenze ma di fiducia incondizionata. Impariamo da lei: una fede senza orpelli esteriori, ma interiormente sincera; una fede fatta di amore umile per Dio e per i fratelli.
E ora ci rivolgiamo alla Vergine Maria, che con cuore umile e trasparente ha fatto di tutta la sua vita un dono per Dio e per il suo popolo.
Dopo l’Angelus
Cari fratelli e sorelle, seguo con preoccupazione le notizie che giungono dalla regione del Corno d’Africa, in particolare dall’Etiopia, scossa da un conflitto che si protrae da più di un anno e che ha causato numerose vittime e una grave crisi umanitaria. Invito tutti alla preghiera per quelle popolazioni così duramente provate, e rinnovo il mio appello affinché prevalgano la concordia fraterna e la via pacifica del dialogo.
E assicuro la mia preghiera anche per le vittime dell’incendio seguito a un’esplosione di carburante, nella periferia di Freetown, capitale della Sierra Leone.
Ieri a Manresa, in Spagna, sono stati proclamati Beati tre martiri della fede, appartenenti all’Ordine dei Frati Minori Cappuccini: Benet de Santa Coloma de Gramenet, Josep Oriol de Barcelona e Domènech de Sant Pere de Riudebitlles. Furono uccisi nel periodo della persecuzione religiosa del secolo scorso in Spagna, dimostrando di essere miti e coraggiosi testimoni di Cristo. Il loro esempio aiuti i cristiani di oggi a rimanere fedeli alla propria vocazione, anche nei momenti della prova. Un applauso a questi nuovi Beati!
Saluto tutti voi, cari fedeli di Roma e pellegrini di vari Paesi, in particolare quelli venuti dagli Stati Uniti d’America e dal Portogallo. Saluto i gruppi di fedeli di Prato e di Foligno; e i ragazzi della Professione di fede di Bresso.
A tutti auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!