37a GMG LISBONA (2-6 AGOSTO 2023)
Giovedì 3 agosto 2023
Incontro coi Giovani Universitari all’Universidade Católica Portuguesa di Lisbona
Questa mattina, Papa Francesco ha celebrato la Santa Messa in forma privata in Nunziatura. Erano presenti quattro familiari della donna francese, animatrice di catechesi di 62 anni, venuta a Lisbona per la GMG e deceduta nei giorni scorsi a causa di un incidente nella casa in cui era ospitata.
Prima di lasciare la Nunziatura, Papa Francesco ha incontrato un gruppo di quindici giovani pellegrini dall’Ucraina accompagnati dal Sig. Denys Kolada, Consulente per il Dialogo con le organizzazioni religiose presso il Governo ucraino. Dopo aver ascoltato le loro toccanti storie, il Papa ha rivolto ai ragazzi alcune parole, manifestando la sua vicinanza, “dolorosa e di preghiera”. Nel concludere l’incontro, durato circa 30 minuti, il Papa e i ragazzi hanno recitato insieme il Padre Nostro, con il pensiero rivolto alla martoriata Ucraina.
Quindi, il Santo Padre Francesco ha lasciato la Nunziatura Apostolica e si è trasferito in auto all’Universidade Católica Portuguesa di Lisbona dove, alle ore 9.00 (10.00 ora di Roma), ha incontrato i Giovani Universitari nel piazzale antistante l’Università.
Dopo l’esecuzione di un brano musicale e il saluto di benvenuto della Prof.ssa Isabel Capeloa Gil, Rettore dell’Università Cattolica Portoghese, hanno avuto luogo due testimonianze, una ispirata alla Laudato si’ e un’altra ispirata dal Patto Educativo Globale. Poi, dopo un canto della Corale, hanno fatto seguito una testimonianza sull’Economy of Francesco e una di una giovane aiutata dal Fondo Papa Francesco per una cultura dell’incontro. Quindi il Papa ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine, dopo la recita del Padre Nostro, la Benedizione finale e l’esecuzione di un ultimo brano musicale, il Santo Padre ha benedetto la Prima Pietra del Campus Veritatis. Secondo le autorità locali hanno partecipato all’incontro circa 6500 persone.
Quindi, il Papa ha lasciato l’Università e si è trasferito in auto alla sede di Scholas Occurrentes di Cascais. Pubblichiamo di seguito la traduzione italiana del discorso che Francesco ha pronunciato in lingua spagnola nell’incontro con i Giovani Universitari:
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Grazie, Signora Rettrice, per le sue parole. Obrigado! Ha detto che tutti ci sentiamo «pellegrini». È una parola bella, il cui significato merita di essere meditato; letteralmente vuol dire lasciare da parte la routine abituale e mettersi in cammino con un’intenzione, muovendosi «attraverso i campi» o «oltre i propri confini», cioè fuori dalla propria zona di comfort verso un orizzonte di senso. Nel termine “pellegrino” vediamo rispecchiata la condizione umana, perché ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno risposta, una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre. È un processo che un universitario comprende bene, perché così nasce la scienza. E così cresce pure la ricerca spirituale. Essere pellegrino è camminare verso una meta o cercando una meta. C’è sempre il pericolo di camminare in un labirinto, dove non c’è meta. E nemmeno uscita. Diffidiamo delle formule prefabbricate – sono labirintiche –, diffidiamo delle risposte che sembrano a portata di mano, di quelle risposte sfilate dalla manica come carte da gioco truccate; diffidiamo di quelle proposte che sembrano dare tutto senza chiedere nulla. Diffidiamo! Questa diffidenza è un’arma per poter andare avanti e non continuare a girare in tondo. Una delle parabole di Gesù dice che la perla di grande valore colui la cerca con intelligenza e con intraprendenza, e dà tutto, rischia tutto ciò che ha per averla (cfr Mt 13,45-46). Cercare e rischiare: ecco i due verbi del pellegrino. Cercare e rischiare.
Pessoa ha detto, in modo tormentato ma corretto, che «essere insoddisfatti è essere uomini» (Mensagem, O Quinto Império). Non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e contro il narcisismo. L’incompletezza caratterizza la nostra condizione di cercatori e pellegrini; come dice Gesù, “siamo nel mondo, ma non siamo del mondo” (cfr Gv 17,16). Siamo in cammino verso… Siamo chiamati a qualcosa di più, a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro, com saudade do futuro! E qui, insieme alla saudade do futuro, non dimenticatevi di mantenere viva la memoria del futuro. Non siamo malati, siamo vivi! Preoccupiamoci piuttosto quando siamo disposti a sostituire la strada da fare col fare sosta in qualsiasi punto di ristoro, purché ci dia l’illusione della comodità; quando sostituiamo i volti con gli schermi, il reale con il virtuale; quando, al posto delle domande che lacerano, preferiamo le risposte facili che anestetizzano. E le possiamo trovare in qualsiasi manuale sui rapporti sociali, su come comportarsi bene. Le risposte facili anestetizzano.
Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, e i gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita. Le parole della Signora Rettrice sono state per me ispiratrici, in particolare quando ha detto che «l’università non esiste per preservarsi come istituzione, ma per rispondere con coraggio alle sfide del presente e del futuro». L’autopreservazione è una tentazione, è un riflesso condizionato della paura, che fa guardare all’esistenza in modo distorto. Se i semi preservassero sé stessi, sprecherebbero completamente la loro potenza generativa e ci condannerebbero alla fame; se gli inverni preservassero sé stessi, non ci sarebbe la meraviglia della primavera. Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!
Sarebbe uno spreco pensare a un’università impegnata a formare le nuove generazioni solo per perpetuare l’attuale sistema elitario e diseguale del mondo, in cui l’istruzione superiore resta un privilegio per pochi. Se la conoscenza non viene accolta come responsabilità, diventa sterile. Se chi ha ricevuto un’istruzione superiore (che oggi, in Portogallo e nel mondo, rimane un privilegio) non si sforza di restituire ciò di cui ha beneficiato, non ha capito fino in fondo cosa gli è stato offerto. Mi piace pensare al Libro della Genesi; le prime domande che Dio pone all’uomo sono: «Dove sei?» (Gen 3,9) e «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Ci farà bene chiederci: dove sono? Me ne sto chiuso nella mia bolla o corro il rischio di uscire dalle mie sicurezze per diventare un cristiano praticante, un artigiano della giustizia, un artigiano della bellezza? E ancora: Dov’è mio fratello? Esperienze di servizio fraterno come la Missão País e molte altre che nascono in ambito accademico dovrebbero essere considerate indispensabili per chi passa da un’università. Il titolo di studio non deve infatti essere visto solo come una licenza per costruire il benessere personale, ma come un mandato per dedicarsi a una società più giusta, una società più inclusiva, cioè più progredita. Mi è stato detto che una vostra grande poetessa, Sophia de Mello Breyner Andresen, in un’intervista che è una sorta di testamento, alla domanda: «Che cosa le piacerebbe vedere realizzato in Portogallo in questo nuovo secolo?», ha risposto senza esitare: «Vorrei vedere realizzata la giustizia sociale, la riduzione del divario tra ricchi e poveri» (Entrevista de Joaci Oliveira, in Cidade Nova, nº 3/2001). Giro a voi questa domanda. Voi, cari studenti, pellegrini del sapere, cosa volete vedere realizzato in Portogallo e nel mondo? Quali cambiamenti, quali trasformazioni? E in che modo l’università, soprattutto quella cattolica, può contribuirvi?
Beatriz, Mahoor, Mariana, Tomás, vi ringrazio per le vostre testimonianze. Avevano tutte un tono di speranza, una carica di entusiasmo realista, senza lamentele ma nemmeno senza fughe in avanti idealiste. Volete essere «protagonisti, protagonisti del cambiamento», come ha detto Mariana. Ascoltandovi, ho pensato a una frase che forse vi è familiare, dello scrittore José de Almada Negreiros: «Ho sognato un Paese in cui tutti arrivavano a essere maestri» (A Invenção do Dia Claro). Anche questo anziano che vi parla – ormai sono vecchio –, sogna che la vostra generazione divenga una generazione di maestri. Maestri di umanità. Maestri di compassione. Maestri di nuove opportunità per il pianeta e i suoi abitanti. Maestri di speranza. E maestri che difendano la vita del pianeta, minacciata in questo momento da una grave distruzione ecologica.
Come alcuni di voi hanno sottolineato, dobbiamo riconoscere l’urgenza drammatica di prenderci cura della casa comune. Tuttavia, ciò non può essere fatto senza una conversione del cuore e un cambiamento della visione antropologica alla base dell’economia e della politica. Non ci si può accontentare di semplici misure palliative o di timidi e ambigui compromessi. In questo caso «le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro» (Lett. enc. Laudato si’, 194). Non dimenticatelo: le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Si tratta invece di farsi carico di quello che purtroppo continua a venir rinviato: ossia la necessità di ridefinire ciò che chiamiamo progresso ed evoluzione. Perché, in nome del progresso, si è fatto strada troppo regresso. Studiate bene questo che vi dico: in nome del progresso, si è fatto strada troppo regresso. Voi siete la generazione che può vincere questa sfida: avete gli strumenti scientifici e tecnologici più avanzati ma, per favore, non cadete nella trappola di visioni parziali. Non dimenticate che abbiamo bisogno di un’ecologia integrale, abbiamo bisogno di ascoltare la sofferenza del pianeta insieme a quella dei poveri; abbiamo bisogno di mettere il dramma della desertificazione in parallelo con quello dei rifugiati; il tema delle migrazioni insieme a quello della denatalità; abbiamo bisogno di occuparci della dimensione materiale della vita all’interno di una dimensione spirituale. Non creare polarizzazioni, ma visioni d’insieme.
Grazie, Tomás, per aver detto che «non è possibile un’autentica ecologia integrale senza Dio, che non può esserci futuro in un mondo senza Dio». Vorrei dirvi: rendete la fede credibile attraverso le scelte. Perché se la fede non genera stili di vita convincenti non fa lievitare la pasta del mondo. Non basta che un cristiano sia convinto, deve essere convincente; le nostre azioni sono chiamate a riflettere la bellezza, gioiosa e insieme radicale, del Vangelo. Inoltre, il cristianesimo non può essere abitato come una fortezza circondata da mura, che alza bastioni nei confronti del mondo. Perciò ho trovato toccante la testimonianza di Beatriz, quando ha detto che proprio «a partire dal campo della cultura» si sente chiamata a vivere le Beatitudini. In ogni epoca uno dei compiti più importanti per i cristiani è recuperare il senso dell’incarnazione. Senza l’incarnazione, il cristianesimo diventa ideologia – e la tentazione delle ideologie cristiane, tra virgolette, è molto attuale. È l’incarnazione che permette di essere stupiti dalla bellezza che Cristo rivela attraverso ogni fratello e sorella, ogni uomo e donna.
A tale proposito, è interessante che nella vostra nuova cattedra dedicata all’«Economia di Francesco» abbiate aggiunto la figura di Chiara. Il contributo femminile è indispensabile. Nell’inconscio collettivo, quante volte si pensa che le donne sono di seconda categoria, sono riserve, non giocano come titolari. Questo esiste nell’inconscio collettivo. Il contributo femminile è indispensabile. Del resto, nella Bibbia si vede come l’economia della famiglia è in larga parte in mano alla donna. Lei, con la sua saggezza, è la vera “reggente” della casa, che non ha per fine esclusivamente il profitto, ma la cura, la convivenza, il benessere fisico e spirituale di tutti, e pure la condivisione con i poveri e i forestieri. È entusiasmante intraprendere gli studi economici con questa prospettiva: con l’obiettivo di restituire all’economia la dignità che le spetta, perché non sia preda del mercato selvaggio e della speculazione.
L’iniziativa del Patto Educativo Globale, e i sette principi che ne formano l’architettura, includono molti di questi temi, dalla cura della casa comune alla piena partecipazione delle donne, fino alla necessità di trovare nuove modalità d’intendere l’economia, la politica, la crescita e il progresso. Vi invito a studiare il Patto educativo globale e ad appassionarvene. Uno dei punti che tratta è l’educazione all’accoglienza e all’inclusione. Non possiamo fingere di non aver sentito le parole di Gesù nel capitolo 25 di Matteo: «ero straniero e mi avete accolto» (v. 35). Ho seguito con emozione la testimonianza di Mahoor, quando ha evocato cosa significa vivere con «il sentimento costante di assenza di un focolare, della famiglia, degli amici […], di essere rimasta senza casa, senza università, senza soldi […], stanca, esausta e abbattuta dal dolore e dalle perdite». Ci ha detto di aver ritrovato speranza perché qualcuno ha creduto nell’impatto trasformante della cultura dell’incontro. Ogni volta che qualcuno pratica un gesto di ospitalità, provoca una trasformazione.
Amici, sono molto contento di vedervi comunità educativa viva, aperta alla realtà, e consapevoli che il Vangelo non fa da ornamento, ma anima le parti e l’insieme. So che il vostro percorso comprende diversi ambiti: studio, amicizia, servizio sociale, responsabilità civile e politica, cura della casa comune, espressioni artistiche… Essere un’università cattolica vuol dire anzitutto questo: che ogni elemento è in relazione al tutto e che il tutto si ritrova nelle parti. Così, mentre si acquisiscono le competenze scientifiche, si matura come persone, nella conoscenza di sé e nel discernimento della propria strada. Strada sì, labirinto no. Allora, avanti! Una tradizione medievale racconta che quando i pellegrini del Cammino di Santiago si incrociavano, uno salutava l’altro esclamando «Ultreia» e l’altro rispondeva «et Suseia». Sono espressioni di incoraggiamento a continuare la ricerca e il rischio del cammino, dicendoci reciprocamente: “Dai, coraggio, vai avanti!”. Questo è ciò che auguro anch’io a tutti voi, con tutto il cuore. Grazie.
Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha incontrato i Giovani di Scholas Occurrentes presso la sede di Cascais.
Nel corso dell’incontro, Papa Francesco ha risposto a braccio alle parole rivoltegli da tre giovani appartenenti a religioni diverse. Quindi, dopo la presentazione di un drappo artistico di 3 km e le parole del Presidente di Scholas Occurrentes, José Maria del Corral, il Papa ha dato la pennellata finale al murale “Vita tra i mondi”, realizzato da tutta la comunità.
Dopo la Benedizione finale, prima di lasciare la sede di Scholas Occurrentes, il Santo Padre ha salutato i ragazzi che lo attendevano all’esterno benedicendoli accanto all’albero di ulivo della pace piantato dai giovani di Scholas.
Al suo rientro in Nunziatura, al termine dell’incontro con i giovani di Scholas Occurrentes, Papa Francesco ha incontrato un gruppo di circa 40 giovani di varie confessioni cristiane e diversa origine, pellegrini dalla Turchia, colpita dal terremoto a inizio febbraio di quest’anno, accompagnati dal Vicario Generale del Vicariato Apostolico dell’Anatolia.
I giovani hanno ringraziato il Papa per l’aiuto ricevuto dopo il terremoto. Papa Francesco ha espresso la sua vicinanza per la sofferenza vissuta da quanti hanno subito la devastazione provocata dal sisma, riconoscendo il loro coraggio e la sfida di “ricostruire, anche nella vita”.
Durante l’incontro, durato circa mezz’ora e concluso con la preghiera del Padre Nostro, si è festeggiato anche il compleanno di una ragazza turca che compie oggi 23 anni.
CERIMONIA DI ACCOGLIENZA
“Parque Eduardo VII” (Lisbona)
Cari giovani, buonasera!
Benvenuti! Benvenuti e grazie di essere qui, sono felice di vedervi! Sono felice di ascoltare il simpatico chiasso che fate e di farmi contagiare dalla vostra gioia. È bello essere insieme a Lisbona: siete stati chiamati qui da me, dal Patriarca, che ringrazio per le sue parole, dai vostri Vescovi, sacerdoti, catechisti e animatori. Ringraziamo tutti coloro che vi hanno chiamato e tutti quelli che hanno lavorato per rendere possibile questo incontro, e lo facciamo con un forte applauso! Però è soprattutto Gesù che vi ha chiamati: ringraziamo Gesù con un altro forte applauso!
Voi non siete qui per caso. Il Signore vi ha chiamati, non solo in questi giorni, ma dall’inizio dei vostri giorni. Tutti ci ha chiamati fin dall’inizio della nostra vita. Sì, Lui vi ha chiamati per nome: abbiamo ascoltato dalla Parola di Dio che ci ha chiamati per nome. Provate a immaginare queste tre parole scritte a grandi lettere; e poi pensate che stanno scritte dentro ciascuno di voi, nei vostri cuori, come a formare il titolo della vostra vita, il senso di quello che sei: tu sei chiamato per nome, tu, tu, tu, tutti noi che siamo qui, io, tutti siamo stati chiamati con il nostro nome. Non siamo stati chiamati automaticamente, siamo stati chiamati per nome. Pensiamo a questo: Gesù mi ha chiamato con il mio nome. Sono parole scritte nel cuore. E poi pensiamo che sono scritte dentro ciascuno di noi, nei nostri cuori, e formano una specie di titolo della tua vita, il senso di quello che siamo, il senso di quello che siete: sei stato chiamato per nome, sei stato chiamato per nome, sei stato chiamato per nome! Nessuno di noi è cristiano per caso: tutti siamo stati chiamati per nome. Al principio della trama della vita, prima dei talenti che abbiamo, delle ombre e delle ferite che portiamo dentro, siamo stati chiamati. Siamo stati chiamati, perché? Perché siamo amati. Siamo stati chiamati perché siamo amati. È bello! Agli occhi di Dio siamo figli preziosi, che Egli ogni giorno chiama per abbracciare e incoraggiare; per fare di ciascuno di noi un capolavoro unico e originale; ognuno di noi è unico, è originale, e la bellezza di tutto questo non la possiamo intravedere.
Cari giovani, in questa Giornata Mondiale della Gioventù, aiutiamoci vicendevolmente a riconoscere questa realtà: siano questi giorni echi vibranti di questa chiamata d’amore di Dio, perché siamo preziosi agli occhi di Dio, nonostante quello che a volte vedono i nostri occhi; a volte i nostri occhio sono annebbiati dalle negatività e abbagliati da tante distrazioni. Che questi siano giorni in cui il mio nome, il tuo nome, il tuo nome attraverso fratelli e sorelle di tante lingue e nazioni – vediamo tante bandiere! – che lo pronunciano con amicizia, risuoni come una notizia unica nella storia, perché unico è il palpito di Dio per te. Siano giorni in cui fissare nel cuore che siamo amati così come siamo, non come vorremmo essere: come siamo adesso. Questo è il punto di partenza della GMG, ma soprattutto il punto di partenza della vita. Ragazzi e ragazze: siamo amati come siamo, senza trucco! Capito, questo?
Siamo chiamati per nome, ciascuno di noi. Non è un modo di dire, è Parola di Dio (cfr Is 43,1; 2 Tm 1,9). Amico, amica, se Dio ti chiama per nome significa che per Dio nessuno di noi è un numero. È un volto, è una faccia, è un cuore. Vorrei che ognuno di voi noti una cosa: tanti, oggi, sanno il tuo nome, ma non ti chiamano per nome. Il tuo nome infatti è noto, appare sui social, viene elaborato da algoritmi che gli associano gusti e preferenze. Tutto questo però non interpella la tua unicità, ma la tua utilità per le indagini di mercato. Quanti lupi si nascondono dietro sorrisi di falsa bontà, dicendo di conoscere chi sei ma non volendoti bene, insinuando di credere in te e promettendoti che diventerai qualcuno, per poi lasciarti solo quando non interessi più. Queste sono le illusioni del virtuale e dobbiamo stare attenti a non lasciarci ingannare, perché tante realtà che oggi ci attirano e promettono felicità poi si mostrano poi per quello che sono: cose vane, bolle di sapone, cose superflue, cose che non servono e che ci lasciano il vuoto dentro. Vi dico una cosa: Gesù non è così, non è così! Lui ha fiducia in te, ha fiducia in ciascuno di voi, in ciascuno di noi perché per Gesù ciascuno di noi è importante, ciascuno di voi è importante. Questo è Gesù.
E allora noi, sua Chiesa, siamo la comunità di quelli che sono chiamati: non siamo la comunità dei migliori, no, siamo tutti peccatori, ma siamo chiamati, così come siamo. Pensiamo un poco a questo, nel nostro cuore: siamo chiamati così come siamo, con i problemi che abbiamo, con le limitazioni che abbiamo, con la nostra gioia travolgente, con il nostro desiderio di essere migliori, con il nostro desiderio di vincere. Siamo chiamati così come siamo. Pensate a questo. Gesù mi chiama così come sono, non come mi piacerebbe essere. Siamo la comunità dei fratelli e delle sorelle di Gesù, figli e figlie dello stesso Padre.
Amici, vorrei essere chiaro con voi, che siete allergici alle falsità e alle parole vuote: nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti. E questo Gesù lo dice chiaramente quando manda gli apostoli a invitare al banchetto di quell’uomo che lo aveva preparato, dice: “Andate e portate tutti, giovani e vecchi, sani e malati, giusti e peccatori: tutti, tutti, tutti”. Nella Chiesa c’è posto per tutti. “Padre, ma io sono un disgraziato…, sono una disgraziata, c’è posto per me?”. C’è posto per tutti! Tutti insieme, ognuno nella sua lingua, ripeta con me: “Tutti, tutti, tutti!”. [ripetono] Non si sente, ancora! “Tutti, tutti, tutti!”. E questa è la Chiesa, la Madre di tutti. C’è posto per tutti. Il Signore non punta il dito, ma apre le sue braccia. Questo ci fa pensare: il Signore non sa fare questo [puntare il dito], ma sa fare questo [abbracciare], ci abbraccia tutti. Ce lo mostra Gesù in croce, che tanto ha aperto le sue braccia da essere crocifisso e morire per noi. Gesù non chiude mai la porta, mai, ma ti invita a entrare: “entra e vedi”. Gesù ti riceve, Gesù accoglie. In questi giorni ciascuno di noi trasmetta il linguaggio d’amore di Gesù: “Dio ti ama, Dio ti chiama”. Che bello che è questo! Dio mi ama, Dio mi chiama, vuole che io sia vicino a Lui.
Voi stasera mi avete fatto anche delle domande, tante domande. Non stancatevi mai di fare domande! Fare domande è giusto, anzi spesso è meglio che dare risposte, perché chi domanda resta “inquieto” e l’inquietudine è il miglior rimedio all’abitudine, a quella normalità piatta che anestetizza l’anima. Ciascuno di noi ha dentro di sé le proprie inquietudini. Portiamo con noi queste inquietudini e portiamole nel dialogo tra di noi, portiamole con noi quando preghiamo davanti a Dio. Queste domande che con la vita diventano risposte, dobbiamo soltanto aspettarle. C’è una cosa molto interessante: Dio ama per sorpresa, non è programmato. L’amore di Dio è sorpresa. Sempre sorprende, sempre ci tiene svegli e ci sorprende.
Cari ragazzi e ragazze, vi invito a pensare a questa cosa tanto bella: che Dio ci ama, Dio ci ama come siamo, non come vorremmo essere o come la società vorrebbe che fossimo: come siamo. Ci ama con i difetti che abbiamo, con le limitazioni che abbiamo e con la voglia che abbiamo di andare avanti nella vita. Dio ci chiama così. Abbiate fiducia perché Dio è Padre, ed è un Padre che ci ama, un Padre che ci vuole bene. Questo non è molto facile, e per questo abbiamo un grande aiuto nella Madre del Signore, che è anche nostra Madre. Lei è nostra Madre. Solo questo volevo dirvi. Non abbiate paura, abbiate coraggio, andate avanti, sapendo che siamo protetti dall’amore di Dio. Dio ci ama. Diciamolo insieme, tutti: “Dio ci ama”. Più forte, che non sento! [ripetono] Non si sente qui… [ripetono] Grazie!